Tutti i post in Separazione/Mantenimento

  • Divorzio: nuovi parametri per la determinazione assegno di mantenimento

    La determinazione assegno di mantenimento storicamente

    Dal 1990, l’assegno era dovuto al coniuge che non era in grado di mantenere il precedente tenore di vita matrimoniale; un principio che aveva finito per creare profonde ingiustizie, come nei casi di assegni a vita dati a coniugi molto giovani o che non avevano dato nessun tipo di contributo in famiglia, a cui facevano da contraltare altri ridotti in uno stato di semipovertà.

    Le sentenze succedutesi da maggio in poi hanno ribaltato la situazione: l’assegno è dovuto nella misura in cui permette all’ex di essere “economicamente indipendente”. Si è passati quindi da un eccesso di ingiustizia (l’assegno sempre e comunque) all’altro (l’assegno solo se si è vicini alla “soglia di povertà”).

    Il nuovo Progetto di Legge per la determinazione assegno di mantenimento

    È stato così depositato un progetto di legge diretto a modificare i parametri per la determinazione assegno di mantenimento.

    L’assegno è dovuto nella misura in cui è utile a riequilibrare le disparità economiche che si creano col divorzio, tenendo conto delle condizioni economiche, del contributo dato alla famiglia, degli impegni nei confronti dei figli, delle concrete possibilità di riciclarsi sul mercato del lavoro, delle rinunce fatte per la famiglia.

    L’assegno a tempo

    Viene anche introdotta la possibilità dell’assegno a tempo ossia concesso per un periodo che possa servire al coniuge debole a riacquistare una indipendenza professionale. Tuttavia l’introduzione del divorzio con addebito, previsto nel disegno di legge, rischia di dar luogo a processi infiniti.

    Come fare per verificare l’effettivo patrimonio dell’ex coniuge?

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  • Mantenimento e Rendicontazione

    Tutti sappiamo che è dovere di entrambi i coniugi contribuire al mantenimento dei figli in maniera proporzionale ai propri redditi.

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  • Separazione: a chi va l’affidamento esclusivo dei figli in caso di disinteresse di uno dei due coniugi?

    Separazione e affidamento esclusivo dei figli

    I figli devono essere affidati ad uno solo dei due coniugi se l’altro, dopo la separazione, non abbia provveduto ad un adeguato sostegno economico e affettivo. Questo è quanto stabilito dal Tribunale di Roma ed è anche quanto emerge da varie pronunce dei giudici nazionali. I genitori che si disinteressano dei figli  sia economicamente che emotivamente, quindi, rischiano di vedersi togliere l’affido condiviso.

    Cos’è l’affidamento esclusivo?

    L’affidamento esclusivo, che si contrappone a quello condiviso nel quale sono entrambi i genitori ad occuparsi dei figli, prevede l’affidamento della prole ad un solo dei due.

    La Cassazione specifica che, questo tipo di affidamento, venga considerato come un’eccezione alla regola dell’affido condiviso e che debba applicarsi solo ed esclusivamente quando esista una situazione grave che renda inapplicabile l’affido condiviso stesso. Per situazioni gravi si intendono tutti quei comportamenti che vanno a nuocere i figli per carenze comportamentali di uno dei due genitori e, quindi, che manifestino l’incapacità del genitore di contribuire alla tranquillità dell’ambiente familiare.

    Il codice civile non da una lista dettagliata delle circostanze che possono portare all’affidamento esclusivo, per questo sarà il giudice che, caso per caso, esprimerà il suo giudizio con “provvedimento motivato”. Ad ogni modo le esigenze del minore sono il  parametro principale di valutazione.

    Cosa giustifica l’affidamento esclusivo?

    Tra le situazioni che maggiormente determinano l’affido esclusivo ad un solo genitore, troviamo l’elevata conflittualità tra gli ex coniugi, la discontinuità nell’esercizio del diritto di visita, l’ obiettiva lontananza tra i genitori, la mancanza di considerazione verso le aspirazioni dei figli, la volontà congiunta dei genitori, la condizione di grave inadempimento psichico o fisico di un genitore e il disinteresse genitoriale.

    Il genitore a cui sono affidati i figli acquisisce l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale. Le decisioni di maggior interesse rimangono tuttavia a carico di entrambi i genitori, salvo diversa disposizione del giudice.

    L’affidamento esclusivo, quindi, non esclude che la responsabilità genitoriale sia esercitata da entrambi i coniugi, ma sarà comunque il giudice a determinarne le dinamiche e a decidere, in corso d’opera, se escludere tutto o in parte uno dei due.

    Nel caso di totale disinteresse da parte di uno dei due coniugi, con la conseguente concessione all’altro di tutte le decisioni di maggior interesse della prole, si può parlare di affido super esclusivo.

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    Come tutelare i propri figli di fronte ad un genitore poco presente?

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  • Casa assegnata all’ex moglie: chi paga il condominio?

    A chi spetta il pagamento degli oneri condominiali.

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  • Fine della convivenza e separazione tra conviventi con figli: spettano mantenimento e casa familiare?

    Convivenza di fatto: come si definisce?

    La legge definisce conviventi di fatto «due persone maggiorenni, unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile».

    Diversamente  da quanto avviene per le unioni civili tra persone dello stesso sesso, nelle convivenze eterosessuali la legge non prevede l’obbligo di registrazione presso gli uffici del Comune. Diritti e doveri previsti nella nuova legge scattano in automatico per il semplice fatto di trovarsi in una condizione di convivenza di fatto stabile (intesa come dimora abituale nello stesso Comune) e si applicano anche a tutte le convivenze di fatto già esistenti (come nel  caso di specie) al momento dell’entrata in vigore della legge.

    Per i conviventi di fatto le dichiarazioni anagrafiche hanno solo un valore di prova in merito all’esistenza e alla durata della convivenza, la cui stabilità andrà accertata in base alle norme del Regolamento Anagrafico della popolazione residente. Norme che prevedono l’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente di ogni Comune anche delle persone conviventi (nella definizione di “famiglia anagrafica” sono ricomprese, infatti, anche le persone legate da vincoli affettivi) e il conseguente rilascio delle relative certificazioni anagrafiche  (come, ad esempio, quelle relative al cambio di residenza o nella composizione della famiglia o della convivenza).

    Fine della convivenza

    A chi spettano gli alimenti alla fine della convivenza?

    In caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall’altro gli alimenti. Questi verranno concessi solo:

    • a chi versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento

    • per un periodo proporzionale alla durata della convivenza, cioè limitato nel tempo (quanto tempo può stabilirlo solo il giudice perché la legge non dà indicazioni a riguardo) e nella misura determinata dal codice civile

    • in base all’ordine degli obbligati andrà adempiuta dal convivente con precedenza sui fratelli e sorelle. Dunque, l’eventuale obbligo del convivente viene solo dopo i genitori e i figli.

    Quali diritti sulla casa di abitazione alla fine della convivenza?

    Chi ha diritto a restare nella casa familiare dopo la cessazione della convivenza.

    Nel caso in cui una coppia di conviventi di cui uno solo dei partner sia proprietario dell’immobile adibito a residenza familiare, la legge prevede, nella sola ipotesi del decesso del convivente proprietario  una riserva di abitazione del convivente superstite della durata di:

    • due anni o di un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non superiore ai cinque anni;·

    • non meno di tre anni, se nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente.

    Queste scadenze si applicano automaticamente senza che gli eredi debbano ricorrere al giudice per usufruire del bene. Il diritto alla riserva di abitazione viene meno qualora il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o contragga matrimonio, un’unione civile o una nuova convivenza di fatto.

    Diritti nella separazione tra conviventi con figli

    A questa ipotesi poi la legge fa salvo il caso in cui il giudice, in presenza di figli comuni, abbia disposto l’assegnazione della casa familiare al convivente superstite a seguito della separazione dei genitori; in tale ipotesi, infatti, il diritto di godimento sull’immobile cesserà solo una volta che la prole, ancorché maggiorenne, abbia raggiunto l’autosufficienza economica.

    Il codice civile, stabilisce che in caso di separazione tra conviventi con figli, questi ultimi  di conviventi godano degli stessi diritti dei figli nati all’interno dei matrimonio.

    I criteri per l’assegnazione della casa familiare, quindi, privilegiano sempre l’interesse dei figli a permanere nell’habitat domestico nel quale sono cresciuti e che, specie in caso di figli piccoli privilegiano la collocazione dei minori (specie se ancora in tenera età) presso la madre. La presenza di un minore, infatti, attribuisce alla madre il pieno diritto di chiedere, nell’ambito di una domanda di regolamentazione dell’affidamento e del mantenimento del figlio anche l’assegnazione della casa, senza che il giudice possa tenere conto della titolarità di altri immobili. Tale assegnazione può durare fino a quando  il bambino non diventa maggiorenne ed economicamente autosufficiente.

    In mancanza di figli, invece, in caso della cessazione della convivenza, il proprietario dell’immobile deve concedere al partner un congruo termine per andare via di casa e trovare una nuova sistemazione.

    Fine della convivenza: il consiglio pratico

    Il consiglio è quindi quello di cercare un accordo con l’ex compagno (eventualmente avvalendosi di un percorso di mediazione familiare o di pratica collaborativa) in modo che il giudice, come previsto dalla legge possa semplicemente «prendere atto degli accordi intervenuti tra i genitori.

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    Come fare per conoscere la situazione patrimoniale del partner?

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  • L’infedeltà coniugale può essere causa di addebito in fase di divorzio?

    Molto spesso la causa scatenante di una separazione è l’infedeltà coniugale, ovvero il tradimento. Si pensa però, erroneamente, che per far condannare il coniuge, addebitandogli la colpa per la fine del matrimonio, sia sufficiente provare la sua infedeltà (anche occasionale o virtuale) con un’altra persona. Non è così.

    Per ottenere l’addebito per infedeltà coniugale è necessario dimostrare che il tradimento sia stato la causa scatenante della separazione. Questo significa che l’infedeltà, può determinare l’addebito solo nel caso in cui la coppia non risultasse già in crisi per altre ragioni, prima del tradimento stesso. Se così fosse, l’infedeltà sarebbe solo una conseguenza della situazione già instabile e quindi, non imputabile come causa scatenante della separazione. Per essa non ci potrebbe essere nessuna condanna. Se una coppia si avvia alla separazione per motivi legati per esempio all’intollerabilità reciproca, il tradimento sarebbe lecito. Su questo aspetto sono intervenute due sentenze, la prima della Cassazione e la seconda del Tribunale di Milano.

    Perché fare causa in caso di infedeltà coniugale?

    Perché è necessario dimostrare il tradimento del coniuge? Principalmente serve per impedire che questo chieda il mantenimento qualora abbia un reddito basso o sia disoccupato. Se a dover versare il mantenimento è il coniuge con il reddito più alto è del tutto indifferente che questi subisca l’addebito, sarà comunque tenuto a pagare l’assegno mensile.

    Il mantenimento non è una sanzione attuata perché uno dei due coniugi ha tradito l’altro. Esso scatta anche in assenza di colpa di uno o di entrambi i coniugi. E’ una misura assistenziale volta a garantire, a chi non ce la fa, le risorse necessarie al suo mantenimento.

    Le conseguenze dell’addebito, e quindi dell’infedeltà, sono due. Chi è riconosciuto colpevole non può:

    • Chiedere il mantenimento. Se si trova in condizioni disperate, può esigere solo gli alimenti, la cui somma è inferiore al mantenimento stesso.

    • Ereditare i beni dell’altro coniuge nel caso in cui questo muoia nel periodo (al massimo 1 anno) che va tra la separazione e il divorzio. Una volta ottenuto il divorzio si perdono tutti i diritti ereditari.

    A fronte di quanto detto, le battaglie per ottenere l’addebito in fase di divorzio sono quasi sempre lotte di principio, soprattutto quando a farle è il coniuge con il reddito più basso che, in ogni caso, avrebbe comunque diritto al mantenimento.

    Cosa dimostrare per ottenere l’addebito in caso di infedeltà coniugale?

    Come detto, il coniuge che richiede l’addebito deve dimostrare che la crisi coniugale è ricollegabile esclusivamente al comportamento infedele dell’altro. Deve inoltre dimostrare che il comportamento colpevole del coniuge abbia determinato l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza. Dall’altra parte il coniuge infedele deve dimostrare che il tradimento è avvenuto a fronte di una situazione di crisi precedente.

    Secondo la Cassazione la sentenza di addebito della separazione non può fondarsi sulla sola prova del tradimento, essendo invece necessario accertare se tale violazione abbia assunto efficacia nel determinarsi della crisi del rapporto coniugale. Se sia stata, quindi, la causa del distacco tra i coniugi.

    Questa posizione è avvalorata dalla sentenza del Tribunale di Milano. Per ottenere l’addebito, bisogna dimostrare che l’adulterio sia avvenuto precedentemente alla crisi e che ne sia stato la causa e non l’effetto. Se uno dei due coniugi ha intrattenuto una relazione extraconiugale ma ad esso non viene collegata la prova del fatto che sia stato questo comportamento a generare la crisi, il tradimento risulta ininfluente.

    Come essere sicuri della situazione del vostro ex coniuge?

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  • Nuove regole in fase di divorzio: niente assegno all’ex autosufficiente.

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    A seguito della sentenza della Corte di Cassazione in cui è stato cancellato il concetto di “tenore di vita” nella cause di divorzio, una nuova sentenza del Tribunale di Milano ha dato maggiori chiarimenti sui criteri del calcolo dell’assegno di mantenimento all’ex coniuge. Se l’ex moglie o marito guadagnano più di mille euro non si ha diritto a nessun assegno.

    Cosa si intende per indipendenza economica?

    Secondo la sentenza del 22 maggio 2017, mille euro sono una somma di denaro sufficiente a garantire le spese considerati essenziali e di conseguenza l’indipendenza economica. Questa viene definita come “la capacità per una determinata persona, adulta e sana, di provvedere al proprio sostentamento, inteso come capacità di avere risorse per le spese essenziali (vitto, alloggio, esercizio dei diritti fondamentali)”, tenendo conto del contesto sociale in cui è inserita.

    Al di sopra di mille euro si viene considerati autosufficienti e si perde il diritto ad avere l’assegno di mantenimento. Questo perché, secondo la legge, la soglia massima oltre la quale un cittadino non può più accedere al patrocinio a spese dello Stato, è oggi fissata a 11.528,41 euro annui, circa mille euro al mese.

    La sentenza 11504/2017 ha quindi ribadito che il tenore di vita matrimoniale non legittima al riconoscimento del mantenimento, che spetta invece solo quando l’ex coniuge non è economicamente indipendente.

    Le nuove regole sono già applicabili

    L’ordinanza del tribunale di Milano ha realizzato quanto stabilito precedentemente dalla Cassazione e i mezzi che rendono la persona autosufficiente sono stati concretizzati. Importante è che, per il Tribunale, le nuove regole che determinano l’assegno di mantenimento in caso di divorzio sono già applicabili alle cause attualmente in corso.

    Per questo motivo conoscere la situazione economica e lavorativa dell’ex coniuge è fondamentale per una maggior tutela dei propri diritti in fase di divorzio.

    Come fare per sapere la condizione economica dell’ex coniuge?

    Avere una visione chiara della situazione economica dell’ex coniuge non è mai semplice. Clipeo, grazie al servizio JOBANK vi fornisce un valido aiuto per identificare in modo dettagliato la condizione lavorativa ed economica del vostro ex coniuge tutelando i vostri interessi e i vostri diritti.

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  • Ex moglie chiede un assegno di mantenimento esagerato?

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    Il dovere di assistenza morale e materiale

    Prima di entrare nel merito della determinazione e della corresponsione dell’assegno di mantenimento verso uno dei due ex coniugi, è importante capire le ragioni che hanno spinto a prevederne l’esistenza.

    Il matrimonio è caratterizzato dalla comunione di intenti e dal dovere di entrambi i coniugi di assistenza morale e materiale reciproca (articolo 143 del codice civile).

    Da qui l’obbligo di contribuire alle esigenze familiari e, in primo luogo, al sostentamento e alla crescita dei figli. Se il dovere di mantenere il coniuge e la famiglia è caratteristica imprescindibile del matrimonio, è anche vero che l’assegno di mantenimento a favore di uno dei due ex coniugi privo di un adeguato reddito trova riscontro nell’articolo 156 del codice civile.

    L’assegno di mantenimento in caso di separazione

    In caso di separazione consensuale o giudiziale, il matrimonio non viene sciolto ma rimane in sospeso fino alla sentenza di divorzio che, in alcuni casi, potrebbe anche non avvenire mai.

    Fino al momento della sentenza quindi lo status di coniuge permane. Quello che cambia sono l’obbligo di convivenza e di fedeltà reciproca. Rimane inalterato invece il dovere di assistenza materiale che si manifesta appunto con l’assegno di mantenimento nei confronti del coniuge che necessità di sostentamento per mancanza o insufficienza di reddito.

    Quali sono i criteri per la sua determinazione

    In caso di separazione consensuale saranno i due coniugi con l’aiuto di un avvocato a stabilire l’ammontare dell’assegno che sarà poi validato dal Tribunale. In caso di mancato accordo tra i coniugi sarà compito del giudice stabilire eventuali violazioni degli obblighi matrimoniali e dettare quindi le condizioni della separazione. L’assegno di mantenimento spetta alla parte che, in considerazione della separazione, non sia in grado di garantire lo stesso tenore di vita di cui si godeva prima, e che quindi risulta più svantaggiata.

    Come calcolare l’importo dovuto

    L’assegno di mantenimento viene calcolato in base a due parametri in particolare: il primo è il reddito complessivo della famiglia, il secondo la necessità di assicurare una tutela ai figli e al coniuge economicamente più svantaggiato. L’obiettivo è quello di eliminare possibili squilibri reddituali che potrebbero incidere sul tenore di vita avuto fino a quel momento, mantenendo cosi le condizioni economiche precedenti alla separazione sulla base di un principio di equità.

    L’importo viene quindi determinato sulla base di due criteri di massima: quanto spetta al coniuge economicamente più debole, in relazione a parametri reddituali di entrambe le parti e quanto spetta ai figli secondo un principio di “proporzionalità” determinato in considerazione delle esigenze degli stessi, il tenore di vita avuto in precedenza, le risorse economiche di entrambi i genitori, etc.

    Il calcolo dovrà quindi tenere conto dei redditi percepiti da ciascun coniuge, il valore locatizio delle proprietà immobiliari (calcolato mensilmente), l’assegnazione della casa coniugale che andrà attribuita ai redditi del coniuge a cui andrà a beneficio l’assegno e il numero dei figli a carico.

    Ad oggi su internet ci sono diversi link gratuiti dai quali è possibile ricavare indicativamente l’importo dell’assegno di mantenimento o che forniscono una guida di massima per la verifica dello stesso.

    “Ma cosa fare quando questi parametri non sono del tutto chiari? Di fronte alla domanda di mantenimento per moglie e figli, il marito ha diritto di conoscere punto per punto le entrate della donna. E viceversa: se l’uomo sostiene di non avere redditi per mantenere la moglie, quest’ultima può verificare le effettive consistenze patrimoniali del marito chiedendo un resoconto dettagliato”.

    In questi casi l’unico mezzo per chiarire la situazione è quello di fare un’indagine sulla persona.

    Grazie al servizio DETECT PERSONA FISICA di Clipeo, potrete avere un aiuto concreto e garantirvi trasparenza e correttezza in questa delicata situazione.

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  • Divorzio: rivoluzione per l’assegno di mantenimento, non conta più il tenore di vita matrimoniale ma l’autosufficienza.

    Ecco i quattro parametri per accertare “l’indipendenza economica” dell’ex coniuge che richiede l’assegno di mantenimento.

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  • Il tuo ex marito non paga l’assegno di mantenimento? Ecco come tutelarsi!

    Come capita molto spesso, le cause di divorzio e separazione non sono mai prive di problemi legati per lo più ai disaccordi tra i due ex coniugi. Accade infatti che le richieste di mantenimento della ex moglie, per varie ragioni, non vogliano essere soddisfatte dalla controparte. A volte per ripicca, a volte per effettiva difficoltà economica da parte dell’ex marito, non si riesce a trovare un accordo sulla cifra dell’assegno di mantenimento e vengono così  a mancare quelle tutele che dovrebbero essere garantite in fase di divorzio.

    Quali sono le tutele verso la donna?

    Esistono diversi mezzi a tutela della donna che abbia timore di non percepire l’assegno di mantenimento. La legge mette a disposizione diversi strumenti, sia prima che dopo la sentenza di separazione o divorzio. Si va, infatti, dalla possibilità di chiedere un’azione revocatoria contro atti di disposizione del patrimonio, all’obbligo di pagamento di una percentuale dello stipendio impartito al datore di lavoro. In più c’è la possibilità di avviare un pignoramento e, se dal mancato mantenimento vengono a mancare i mezzi di sussistenza per moglie e figli, si può procedere a una denuncia penale.

    Come viene tutelato l’assegno di mantenimento?

    A tutela dell’assegno di mantenimento esistono vari mezzi attuabili sia durante che dopo la causa di separazione o divorzio. Vediamone alcuni:

    1. L’azione revocatoria

    Questo tipo di causa ha lo scopo di rendere inefficaci qualsiasi tipo di vendita o donazione effettuate a frode dei creditori, ivi compresi quelli che ancora non sono tali a tutti gli effetti (perché il loro credito è in corso di accertamento con una causa). Se per esempio, il marito cede in modo fittizio le sue azioni di una Spa ad un prestanome, o venda un terreno ad un amico, la moglie può tutelare il proprio credito per l’assegno di mantenimento con l’azione revocatoria.

    2. Il sequestro

    Se il marito non paga l’assegno di mantenimento, la moglie può rivolgersi al giudice, il quale può disporre il sequestro di una parte dei beni del marito stesso. Per richiedere il sequestro devono verificarsi inadempimenti o ritardi nel pagamento. Il provvedimento si può attuare anche in caso di separazione se si sono già verificate tali condizioni.

    3. Ordine di pagamento diretto al datore di lavoro

    In caso di inadempienza, la moglie può chiedere al tribunale di ordinare all’azienda in cui lavora l’ex marito, di pagare direttamente a suo favore un parte delle somme a lui dovute. Si tratta di un provvedimento diverso rispetto al pignoramento (il quale, come noto, comporta il “blocco” del quinto dello stipendio all’esito di un procedimento di esecuzione forzata). Per attuare questo provvedimento ci si può rivolgere al datore di lavoro, all’ente erogatore della pensione, all’inquilino di un immobile dato in locazione dal coniuge, ecc.

    4. Pignoramento

    Nel caso in cui non venisse versato l’assegno di mantenimento, la moglie può richiedere il pignoramento dei beni dell’ex marito: auto, immobili, stipendio e conti correnti. Per fare questo è necessario redigere preventivamente un atto di precetto e farsi assistere da un avvocato. Il procedimento può avere risultati solo nella misura in cui l’uomo non sia totalmente nullatenente.

    5. Denunciare o querelare

    La legge punisce chi fa mancare i mezzi di sussistenza al coniuge. La pena prevista è la reclusione fino ad un anno e il pagamento di una multa che va da 103 a 1032 euro.

    Come fare quindi per essere sicuri della situazione economica dell’ex coniuge?

    Nel caso in cui voleste essere sicuri dei beni aggredibili in caso di separazione o divorzio e  avere una maggior tutela dei vostri diritti, affidatevi a Clipeo. Grazie al servizio JOBANK, infatti, potrete avere una fotografia nitida e dettagliata della situazione economico/patrimoniale del vostro ex coniuge, garantendovi maggior trasparenza e sicurezza.