Spese condominiali: quando è possibile non pagarle
La vita in condominio comporta inevitabilmente l’obbligo di partecipare alle spese relative alle parti comuni dell’edificio e ai servizi condivisi.
La vita in condominio comporta inevitabilmente l’obbligo di partecipare alle spese relative alle parti comuni dell’edificio e ai servizi condivisi.
Dare in affitto un proprio immobile è un processo delicato che richiede la giusta attenzione. Il contratto di affitto è sempre una scommessa, soprattutto, perché non si conosce mai bene a fondo la persona che vivrà dentro alla nostra casa.
Quando la coppia si separa, il giudice assegna la casa familiare al genitore con cui vanno a vivere i figli. Leggi tutto
Una discussione sull’affitto di casa, i toni che si accendono e la tensione che sale. Poi il confronto degenera, volano parole grosse e partono gli schiaffi.
È l’antefatto dal quale i carabinieri della stazione di Boville Ernica sono partiti dopo aver ricevuto una querela sporta da un quarantasettenne del posto.
L’ultimo caso di condomini truffati è accaduto a Parma, dove la Guardia di Finanza ha scoperto le attività illecite di un’amministratore di condominio.
Per comprendere la ragione di ciò è necessaria una breve premessa. Se la regola generale del nostro ordinamento vuole le parti libere di determinare il contenuto e le clausole di ogni contratto, ciò non vale però nel campo delle locazioni ove, per tutelare la parte più debole, ovvero l’inquilino, la legge ha voluto stabilire alcuni limiti al potere di autodeterminazione dei contraenti. Il limite principale attiene alla durata dell’affitto, ed è proprio sulla base di questa che si distinguono i vari tipi di contratti:
affitto a canone libero: la durata è di 4 anni con rinnovo in automatico per altri 4 anni, e così ad ogni successiva scadenza, salvo venga inviata la lettera di disdetta almeno 6 mesi prima. Alla prima scadenza però il rinnovo è obbligatorio per il locatore, motivo per cui questo contratto viene chiamato anche “4+4”. La seconda caratteristica del contratto di locazione a canone libero è nel nome stesso: il canone di affitto può infatti essere determinato dalle parti senza alcun vincolo.
affitto a canone concordato: la durata qui è di 3 anni e, anche qui, alla scadenza si rinnova in automatico per altri 3 anni, e così ad ogni successiva scadenza, salvo venga inviata la lettera di disdetta almeno 6 mesi prima; alla prima scadenza, è obbligatorio per il locatore il rinnovo per altri 2 anni. Ecco perché questo contratto viene chiamato “3+2”. Anche in tale ipotesi il locatore può rifiutare il rinnovo automatico solo per le cause sopra elencate.
affitto a uso transitorio: ha una durata minima di 1 mese e massima di 18 mesi non rinnovabili; il canone è libero, può essere stipulato solo in presenza di particolari situazioni di necessità temporanee dell’inquilino o del padrone di casa che vanno indicate nel contratto.
affitto per studenti universitari: ha una durata minima di 6 mesi e massima di 36 mesi e può essere rinnovato.
affitto per finalità turistiche: la durata del contratto è libera. In genere tale tipo di locazione è stipulata per brevi periodi. Al termine del periodo pattuito la disdetta è automatica e il conduttore deve rilasciare l’immobile locato.
Sono così definiti gli obblighi a carico del proprietario di casa e dell’affittuario.
Solo l’inquilino potrebbe recedere dal contratto prima della scadenza, ma dovrà dimostrare una giusta causa, che ricorre quando si tratta di:
fatti sopravvenuti e non conosciuti o conoscibili al momento della conclusione del contratto: ad esempio un trasferimento lavorativo non richiesto;
il fatto non deve dipendere dalla volontà dell’affittuario: ad esempio la decisione di cambiare lavoro e andare a vivere altrove;
il fatto deve comportare un’oggettiva impossibilità a permanere nell’immobile: ad esempio l’estrema lontananza della nuova sede lavorativa (diverse centinaia di chilometri).
L’adempimento ricade, entro 30 giorni dalla firma del contratto, sul padrone di casa il quale può – indicandolo nel contratto – addossare non oltre il 50% della spesa fiscale sull’inquilino. Se il locatore non provvede alla registrazione, l’Agenzia delle Entrate può però inviare l’accertamento anche all’inquilino. Si ha infatti una responsabilità solidale. Sicché anche quest’ultimo, volendo, può registrare il contratto nel caso in cui non vi provveda il proprietario.
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È comunemente riconosciuto, anche perché espressamente previsto nel codice civile italiano, che la divisione delle spese che il condominio è tenuto a sostenere per le parti comuni dello stesso, debba avvenire in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascun condomino; a meno che si tratti di parti destinate a forme di utilizzo diverso, caso in cui le spese saranno ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne.
L’indicazione di quelle che comunemente sono chiamate “parti comuni“, sono indicate dal Codice Civile all’art. 1117. Sono soggette alla proprietà comune:
Qualora si verificasse l’eventualità di condomini morosi, l’ordinamento assegna all’amministratore, a cui saranno infatti riconosciuti una serie di poteri e di obblighi, il compito di gestire il caso. A tal proposito, lo stesso:
Ove i verifichi un tale eventualità è opportuno evidenziare che “chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l’avente causa per i contributi maturati (di conseguenza anche quelli insoluti) fino al momento in cui è trasmessa all’amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto”. Quindi, dal momento in cui la vendita si perfeziona e sino a che non sia trasmessa all’amministratore copia dell’atto di vendita, l’ex condomino e l’acquirente sono legati da una responsabilità di tipo solidale per il pagamento dei contributi condominiali.
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A chi spetta il pagamento degli oneri condominiali.
In caso di spese condominiali non pagate dal proprietario, non sono solo gli inquilini o i proprietari degli appartamenti a dover rispondere. Forse non tutti sanno che anche per gli amministratori di condominio possono insorgere dei problemi, in caso di mancato pagamento delle spese condominiali da parte degli inquilini.
Che succede se uno dei proprietari di un appartamento non paga le spese di condominio richieste dall’amministratore?
In linea generale, chi è in ritardo con il versamento delle quote millesimali viene definito come “moroso”. E’ importante sapere che, in questo caso, il condominio può intervenire nei suoi confronti pignorando i beni, come ad esempio stipendio, pensione, conto corrente ecc.
Bisogna subito chiarire che l’amministratore di condominio ha diritto di agire nei confronti degli inquilini morosi entro sei mesi dall’approvazione del consuntivo, a meno che l’assemblea non lo dispensi.
Accade spesso che l’amministratore di condominio sia a sua volta proprietario di un appartamento e che, a causa dei rapporti di vicinato, amicali o di parentela con gli altri condomini, i ritardi nel pagamento delle spese siano più frequenti. Per ovviare a questo problema, che comporta elevati ammanchi nelle casse del condominio, la riforma del 2012 ha dettato da un lato tempi certi nell’attività del recupero delle spese condominiali non versate, dall’altro un incentivo all’assunzione di figure professionali specifiche esterne all’edificio.
Quando un inquilino non paga e diventa moroso, può ricevere un’ingiunzione del tribunale, chiamato “decreto ingiuntivo“, che viene richiesto direttamente dall’amministratore di condominio. Questo decreto consiste in un ordine imposto dal giudice, nei confronti del debitore, di versare tutti gli arretrati entro 40 giorni dalla ricezione dello stesso.
Il debitore da parte sua può anche instaurare, entro lo stesso termine, una causa ordinaria. L’opposizione viene fatta quando il condomino ritiene di non dover pagare, di aver già pagato o che l’importo segnalato è errato. Se però il condomino non ha prima impugnato la delibera di condominio in cui sono state approvate e ripartite le spese tra condomini, allora l’opposizione viene ritenuta illegittima.
Il decreto ingiuntivo per gli oneri di condominio è provvisoriamente esecutivo. Questo significa che, se il debitore non paga immediatamente, può essere oggetto di pignoramento.
L’iniziativa giudiziale spetta all’amministratore di condominio che dovrà nominare un avvocato di fiducia senza chiedere preventiva autorizzazione all’assemblea. Sarà l’avvocato a mandare avanti l’iter seguendo le sue indicazioni. L’amministratore, da parte sua, non può però decidere se e quando agire o contro chi farlo. Deve utilizzare pari trattamento nei confronti di tutti i morosi.
Una volta che viene approvata la ripartizione delle spese dall’assemblea di condominio, l’amministratore ha il compito di sollecitare ai morosi i il pagamento delle spese sia ordinarie che straordinarie.
In caso di mancato pagamento nonostante i solleciti, l’amministratore deve rivolgersi ad un avvocato per richiedere il decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo nei confronti del moroso.
L’amministratore non ha facoltà di decisione sui tempi. La legge, infatti, gli impone di agire per la riscossione forzosa verso il debitore, entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale è compreso il credito esigibile, salvo dispensa da parte dell’assemblea.
Se l’amministratore non agisce entro la tempistica indicata, risulta personalmente responsabile e può essere revocato dall’incarico senza preavviso oltre a dover risarcire il danno subito. La mancata riscossione dei crediti viene equiparata al comportamento di chi, pur avendo promosso la causa e il decreto ingiuntivo per la riscossione, non abbia curato la successiva fase del pignoramento.
Innanzitutto in caso di morosità da oltre sei mesi può sospendere al condomino inadempiente i servizi condominiali suscettibili di godimento separato, per esempio l’accesso a taluni locali o servizi (deposito biciclette, piscina, ecc).
Se la morosità continua bisogna comunicare ai creditori che non sono stati pagati (es fornitori, manutentori, ecc ), le generalità dei morosi. In questo modo i creditori dovranno agire prima contro gli inadempienti e solo successivamente contro tutti gli altri condomini anche se in regola con i pagamenti (cosiddetto «obbligo di preventiva escussione dei morosi»).
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La prima cosa da sapere è che, in caso di debiti condominiali, non esistono nullatenenti. Questo perché il condominio è titolare effettivo della casa e quindi ha sempre un bene intestato. In questo modo anche nella peggiore delle situazioni rimane sempre la possibilità di pignorare l’appartamento. Solo nel caso in cui ci fosse già un pignoramento in atto per altri debiti del proprietario, la richiesta del condominio verrebbe subordinata al precedente creditore.
Il pignoramento della casa risulta essere un metodo molto incentivante per la regolarizzazione della propria posizione anche se, a causa dei tempi burocratici, per averne l’effettiva attuazione bisogna avere pazienza.
L’amministratore che non agisce entro 6 mesi dall’approvazione del bilancio consuntivo contro il condomino moroso rischia un’azione di responsabilità da parte del condominio che, oltre a revocarlo, potrebbe anche chiedergli il risarcimento del danno.
Se il padrone di casa decide di sbarazzarsi dell’immobile, deve essere conscio del fatto che i debiti contratti prima della cessione dello stesso rimangono a suo carico. Per i debiti contratti nell’anno in corso e precedente la vendita risulta responsabile anche l’acquirente.
Detto ciò si evince che è sempre opportuno che, chi intende acquistare un’unità immobiliare inserita in un complesso condominiale, si accerti che il venditore sia in regola con i pagamenti delle spese condominiali. La richiesta di verifica non deve essere inoltrata all’amministratore poiché, per rispetto della privacy, non è tenuto a darvi riscontro. Sarà il venditore a doversi far rilasciare dall’amministratore stesso un’attestazione da esibire al potenziale acquirente.
Come ogni altro debito anche quelli di condominio vengono ereditati a meno che gli eredi stessi non abbiano effettuato una rinuncia. In tal caso l’erede risponde di tutto l’arretrato e non solo di quelli dell’anno in corso e di quello precedente, come in caso di trasferimento dell’immobile. Per questo motivo, anche a tutela degli eredi, la cessione del bene è sempre preferibile.
La rinuncia all’eredità è una dichiarazione formale fatta dall’erede, ricevuta da un notaio o dal Cancelliere del Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, con la quale impedisce l’ingresso nel suo patrimonio dei diritti derivanti dall’eredità.
L’erede che rinuncia all’eredità viene considerato come se non fosse mai stato chiamato alla successione. La rinuncia non può avvenire tacitamente.
Spesso l’ereditarietà dei debiti risulta più complicata del dovuto anche a causa della difficoltà da parte dei creditori di rintracciare gli eredi del debitore, soprattutto in caso di morte dello stesso. Per questo motivo i tempi di riscossione del debito rischiano di allungarsi in maniera esponenziale. Come fare quindi per evitare questo problema?
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