Divorzio: rivoluzione per l’assegno di mantenimento, non conta più il tenore di vita matrimoniale ma l’autosufficienza.
Ecco i quattro parametri per accertare “l’indipendenza economica” dell’ex coniuge che richiede l’assegno di mantenimento.
Ecco i quattro parametri per accertare “l’indipendenza economica” dell’ex coniuge che richiede l’assegno di mantenimento.
In caso di spese condominiali non pagate dal proprietario, non sono solo gli inquilini o i proprietari degli appartamenti a dover rispondere. Forse non tutti sanno che anche per gli amministratori di condominio possono insorgere dei problemi, in caso di mancato pagamento delle spese condominiali da parte degli inquilini.
Che succede se uno dei proprietari di un appartamento non paga le spese di condominio richieste dall’amministratore?
In linea generale, chi è in ritardo con il versamento delle quote millesimali viene definito come “moroso”. E’ importante sapere che, in questo caso, il condominio può intervenire nei suoi confronti pignorando i beni, come ad esempio stipendio, pensione, conto corrente ecc.
Bisogna subito chiarire che l’amministratore di condominio ha diritto di agire nei confronti degli inquilini morosi entro sei mesi dall’approvazione del consuntivo, a meno che l’assemblea non lo dispensi.
Accade spesso che l’amministratore di condominio sia a sua volta proprietario di un appartamento e che, a causa dei rapporti di vicinato, amicali o di parentela con gli altri condomini, i ritardi nel pagamento delle spese siano più frequenti. Per ovviare a questo problema, che comporta elevati ammanchi nelle casse del condominio, la riforma del 2012 ha dettato da un lato tempi certi nell’attività del recupero delle spese condominiali non versate, dall’altro un incentivo all’assunzione di figure professionali specifiche esterne all’edificio.
Quando un inquilino non paga e diventa moroso, può ricevere un’ingiunzione del tribunale, chiamato “decreto ingiuntivo“, che viene richiesto direttamente dall’amministratore di condominio. Questo decreto consiste in un ordine imposto dal giudice, nei confronti del debitore, di versare tutti gli arretrati entro 40 giorni dalla ricezione dello stesso.
Il debitore da parte sua può anche instaurare, entro lo stesso termine, una causa ordinaria. L’opposizione viene fatta quando il condomino ritiene di non dover pagare, di aver già pagato o che l’importo segnalato è errato. Se però il condomino non ha prima impugnato la delibera di condominio in cui sono state approvate e ripartite le spese tra condomini, allora l’opposizione viene ritenuta illegittima.
Il decreto ingiuntivo per gli oneri di condominio è provvisoriamente esecutivo. Questo significa che, se il debitore non paga immediatamente, può essere oggetto di pignoramento.
L’iniziativa giudiziale spetta all’amministratore di condominio che dovrà nominare un avvocato di fiducia senza chiedere preventiva autorizzazione all’assemblea. Sarà l’avvocato a mandare avanti l’iter seguendo le sue indicazioni. L’amministratore, da parte sua, non può però decidere se e quando agire o contro chi farlo. Deve utilizzare pari trattamento nei confronti di tutti i morosi.
Una volta che viene approvata la ripartizione delle spese dall’assemblea di condominio, l’amministratore ha il compito di sollecitare ai morosi i il pagamento delle spese sia ordinarie che straordinarie.
In caso di mancato pagamento nonostante i solleciti, l’amministratore deve rivolgersi ad un avvocato per richiedere il decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo nei confronti del moroso.
L’amministratore non ha facoltà di decisione sui tempi. La legge, infatti, gli impone di agire per la riscossione forzosa verso il debitore, entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale è compreso il credito esigibile, salvo dispensa da parte dell’assemblea.
Se l’amministratore non agisce entro la tempistica indicata, risulta personalmente responsabile e può essere revocato dall’incarico senza preavviso oltre a dover risarcire il danno subito. La mancata riscossione dei crediti viene equiparata al comportamento di chi, pur avendo promosso la causa e il decreto ingiuntivo per la riscossione, non abbia curato la successiva fase del pignoramento.
Innanzitutto in caso di morosità da oltre sei mesi può sospendere al condomino inadempiente i servizi condominiali suscettibili di godimento separato, per esempio l’accesso a taluni locali o servizi (deposito biciclette, piscina, ecc).
Se la morosità continua bisogna comunicare ai creditori che non sono stati pagati (es fornitori, manutentori, ecc ), le generalità dei morosi. In questo modo i creditori dovranno agire prima contro gli inadempienti e solo successivamente contro tutti gli altri condomini anche se in regola con i pagamenti (cosiddetto «obbligo di preventiva escussione dei morosi»).
Clipeo vi offre una valida soluzione per verificare se un condomino ha realmente difficoltà nel pagare i suoi debiti. Grazie al servizio Detect Persona Fisica, potrete avere una visione nitida e fedele della situazione economico-patrimoniale del vostro debitore permettendovi di agire nel migliore dei modi.
Le motivazioni per cui un datore di lavoro può arrivare al licenziamento di un suo dipendente sono molteplici. Una di queste è, senza ombra di dubbio, il verificarsi di furti in azienda anche se di piccola entità. Non importa infatti quanto sia il valore del bene sottratto: il furto costituisce sempre e comunque una giusta causa per il licenziamento, che può avvenire in tronco e senza preavviso.
Quello che conta è il venire meno del rapporto di fiducia tra dipendente e datore di lavoro, e questo comporta la scorrettezza dell’ esecuzione dell’attività lavorativa. A chiarire questo aspetto è la Cassazione.
La Corte specifica che il licenziamento deve essere sempre l’ultima misura a cui ricorrere, quando ogni altro tipo di sanzione è stata inefficace o non risulti sufficientemente adeguata alla gravità della violazione.
La valutazione della proporzionalità dell’atto commesso, rispetto alla pena applicata, si basa sulle ripercussioni che questa condotta può portare al rapporto di lavoro e al futuro proseguimento dello stesso. Non è quindi il valore del bene rubato che determina il licenziamento, quanto invece il comportamento in sé, che denota il poco rispetto per l’azienda, la bassa moralità, l’inosservanza delle regole e delle leggi.
Oltretutto chi ruba una volta potrebbe farlo di nuovo e quindi viene meno il rapporto di fiducia tra le parti che, anzi, nel caso del datore di lavoro, potrebbe trasformarsi in un costante sospetto verso il dipendente.
Per far scattare il licenziamento quindi bastano furti anche di scarso valore. In passato, per esempio, è stato ritenuto legittimo il licenziamento per uso improprio della carta carburante per spostamenti personali, trattandosi comunque di risorse del datore di lavoro.
Quando parliamo di furti, non si intende solo la privazione di oggetti, materiali aziendali o denaro. Ci sono diversi comportamenti che vengono considerati come sleali e che rientrano nel “rubare” all’azienda, oltre al furto vero e proprio, vediamo quali sono:
1- La concorrenza sleale
Il dipendente risulta infedele verso l’azienda quando, per propri interessi o per conto di terzi che siano in concorrenza con la stessa, divulga notizie che riguardano i metodi di produzione o notizie riguardo l’organizzazione interna dell’azienda, effettuando un vero e proprio furto di dati sensibili.
2 – La sicurezza informatica
Tra i comportamenti che possono portare ad un licenziamento c’è anche la violazione delle norme di sicurezza. Questo tipo di illecito si verifica, per esempio, se un dipendente consente ad un terzo non autorizzato di utilizzare la sua postazione di lavoro e di accedere ad aree riservate con le proprie credenziali. In questo caso potrebbe verificarsi oltre alla violazione della privacy aziendale anche il furto di informazioni sensibili.
I giudici ribadiscono comunque che la tenuità del danno subito dal datore di lavoro non è sufficiente ad escludere la lesione del rapporto di fiducia su cui si fonda il rapporto lavorativo. Per questo si parla di giusta causa di licenziamento, da non confondersi con il giustificato motivo oggettivo. Infatti, se il secondo caso viene sempre anticipato dal preavviso, vista la minor gravità dell’illecito, nel primo caso la condotta viene ritenuta fondamentale e quindi implica il licenziamento in tronco.
Per evitare o ridurre la probabilità di avere dipendenti poco corretti e dediti ad atti che violano la fiducia lavorativa, è possibile effettuare un’ indagine preventiva su chi avete di fronte. Grazie al servizio SCREENING di Clipeo è possibile avere una fotografia nitida e dettagliata della persona che state per assumere o che lavora già per voi, così da farvi un’idea più accurata della persona con cui collaborate.
Come capita molto spesso, le cause di divorzio e separazione non sono mai prive di problemi legati per lo più ai disaccordi tra i due ex coniugi. Accade infatti che le richieste di mantenimento della ex moglie, per varie ragioni, non vogliano essere soddisfatte dalla controparte. A volte per ripicca, a volte per effettiva difficoltà economica da parte dell’ex marito, non si riesce a trovare un accordo sulla cifra dell’assegno di mantenimento e vengono così a mancare quelle tutele che dovrebbero essere garantite in fase di divorzio.
Esistono diversi mezzi a tutela della donna che abbia timore di non percepire l’assegno di mantenimento. La legge mette a disposizione diversi strumenti, sia prima che dopo la sentenza di separazione o divorzio. Si va, infatti, dalla possibilità di chiedere un’azione revocatoria contro atti di disposizione del patrimonio, all’obbligo di pagamento di una percentuale dello stipendio impartito al datore di lavoro. In più c’è la possibilità di avviare un pignoramento e, se dal mancato mantenimento vengono a mancare i mezzi di sussistenza per moglie e figli, si può procedere a una denuncia penale.
A tutela dell’assegno di mantenimento esistono vari mezzi attuabili sia durante che dopo la causa di separazione o divorzio. Vediamone alcuni:
1. L’azione revocatoria
Questo tipo di causa ha lo scopo di rendere inefficaci qualsiasi tipo di vendita o donazione effettuate a frode dei creditori, ivi compresi quelli che ancora non sono tali a tutti gli effetti (perché il loro credito è in corso di accertamento con una causa). Se per esempio, il marito cede in modo fittizio le sue azioni di una Spa ad un prestanome, o venda un terreno ad un amico, la moglie può tutelare il proprio credito per l’assegno di mantenimento con l’azione revocatoria.
2. Il sequestro
Se il marito non paga l’assegno di mantenimento, la moglie può rivolgersi al giudice, il quale può disporre il sequestro di una parte dei beni del marito stesso. Per richiedere il sequestro devono verificarsi inadempimenti o ritardi nel pagamento. Il provvedimento si può attuare anche in caso di separazione se si sono già verificate tali condizioni.
3. Ordine di pagamento diretto al datore di lavoro
In caso di inadempienza, la moglie può chiedere al tribunale di ordinare all’azienda in cui lavora l’ex marito, di pagare direttamente a suo favore un parte delle somme a lui dovute. Si tratta di un provvedimento diverso rispetto al pignoramento (il quale, come noto, comporta il “blocco” del quinto dello stipendio all’esito di un procedimento di esecuzione forzata). Per attuare questo provvedimento ci si può rivolgere al datore di lavoro, all’ente erogatore della pensione, all’inquilino di un immobile dato in locazione dal coniuge, ecc.
4. Pignoramento
Nel caso in cui non venisse versato l’assegno di mantenimento, la moglie può richiedere il pignoramento dei beni dell’ex marito: auto, immobili, stipendio e conti correnti. Per fare questo è necessario redigere preventivamente un atto di precetto e farsi assistere da un avvocato. Il procedimento può avere risultati solo nella misura in cui l’uomo non sia totalmente nullatenente.
5. Denunciare o querelare
La legge punisce chi fa mancare i mezzi di sussistenza al coniuge. La pena prevista è la reclusione fino ad un anno e il pagamento di una multa che va da 103 a 1032 euro.
Nel caso in cui voleste essere sicuri dei beni aggredibili in caso di separazione o divorzio e avere una maggior tutela dei vostri diritti, affidatevi a Clipeo. Grazie al servizio JOBANK, infatti, potrete avere una fotografia nitida e dettagliata della situazione economico/patrimoniale del vostro ex coniuge, garantendovi maggior trasparenza e sicurezza.
Con l’avvento di Internet e della disponibilità di utilizzo della rete, si sono moltiplicate le modalità e le possibilità di truffa nei confronti degli utenti. Vi sarà capitato, soprattutto negli ultimi anni, di sentire parlare di phishing e truffe via mail.
Con questo termine si identifica qualunque tentativo di frode messo in atto attraverso Internet, che ha come unico scopo quello di raccogliere informazioni riservate e sensibili, come per esempio: username, password, codici di accesso, numeri del conto corrente o dati della carta di credito. Il nome phishing deriva infatti dal termine inglese fishing che significa pescare.
Per mettere in atto questo tentativo di frode, i malintenzionati che si avvalgono delle tecniche di phishing non utilizzano virus, spyware, malware o altre tipologie di software malevolo. Quello che fanno, invece, è analizzare le abitudini degli utenti al fine di carpirne informazioni potenzialmente utili.
La tecnica più comune di un attacco di phishing consiste nell’inviare delle normali email, sotto forma di messaggi cosiddetti spam, ma con caratteristiche molto simili a quelle riscontrabili su siti web certificati, come ad esempio istituti bancari, istituti postali e servizi di pagamento online. Oltre a questa tecnica molto diffusa, ne esistono però diverse altre, meno frequenti, ma comunque efficaci. Per esempio lo spear phishing, l’invio di SMS ingannevoli e, talvolta, anche di semplici telefonate.
Chi cerca di attaccare attraverso il phishing ricorre solitamente ad una serie di fasi prestabilite. La prima consiste nell’inviare, alle potenziali vittime, vari messaggi di posta elettronica contenenti informazioni, e a volte loghi, che sembrano in egual modo familiari, rassicuranti e invoglianti.
I messaggi inviati, generalmente, sono di informazione verso l’utente, riguardo situazioni finte che potrebbero però realmente accadere. Per esempio, un tipico messaggio di phishing potrebbe riguardare:
1. la scadenza di una password;
2. l’accettazione dei cambiamenti delle condizioni contrattuali;
3. il potenziale rinnovo della carta prepagata o della carta di credito (per esempio Postepay, CartaSi, Visa o MasterCard);
4. la presenza di offerte di lavoro particolarmente interessanti;
5. potenziali problemi inerenti accrediti, addebiti o trasferimenti di denaro su determinati conti online (tipo PayPal, MoneyGram o Western Union);
6. la mancata, incompleta o errata presenza di informazioni, riguardanti Poste italiane e/o gli account di Google, Facebook o Twitter;
7. altri usuali avvenimenti del genere.
Una volta catturata l’attenzione dell’utente, tramite un allegato o un link ipertestuale, sarà facile portare la vittima ad un sito internet, il più possibile simile all’originale, con la speranza che l’utente inserisca le sue credenziali di accesso. In questo modo il phisher potrà così disporre delle credenziali del malcapitato e utilizzare tutti i dati ad esse collegati.
Per difendervi da questa tecnica di truffa, è bene seguire alcuni semplici consigli:
1. per prima cosa verificate sempre la provenienza del messaggio e leggetelo attentamente, eventuali errori dovrebbero già farvi scattare un campanello d’allarme;
2. non cliccate mai sui collegamenti contenuti nel testo e non scaricate o aprite gli allegati;
3. controllate sempre la URL del sito che compare nella barra degli indirizzi del vostro browser preferito;
4. verificate periodicamente i movimenti del vostro conto e, se possibile, attivate il servizio di SMS alert, così da essere informati non appena avviene un movimento di denaro sul vostro conto;
5. bloccate subito eventuali movimenti sospetti e non accettate mai la riscossione di pagamenti di cui non conoscete l’origine, potreste altrimenti essere accusati di riciclaggio e passare dalla parte del torto;
6. se notate la presenza di messaggi sospetti, evidenziateli come spam, così che il proprietario del servizio di posta ne venga a conoscenza e si possa fare una denuncia agli organi competenti.
Per una maggior tutela verso potenziali truffatori che si mettono in contatto con voi Clipeo offre un servizio mirato e funzionale a scoprire chi avete di fronte. Con RISK PROFILE infatti, potrete avere un resoconto dettagliato della persona o della fantomatica azienda che vi ha contattato, evitando così di cadere vittime di raggiri ben articolati. Tutelatevi con Clipeo.
I beni del coniuge defunto si ereditano anche in caso di separazione dei beni.
Navigando su internet o nella vostra casella e-mail, vi sarà capitato di imbattervi in offerte di prestazioni varie da parte di professionisti e/o aziende dei più svariati settori.
L’utilizzo del web e la facilità di accedervi direttamente dal proprio telefono tramite app hanno reso sempre più comoda e facile l’interazione tra domanda e offerta, portando però anche una serie di problematiche legate alla poca trasparenza della rete.
Sono molti i siti dedicati che fanno da intermediari per questo tipo di offerte, ma spesso non si prendono la responsabilità della correttezza delle aziende che pubblicizzano.
Se da un lato infatti è molto più comodo e veloce trovare ciò di cui si ha bisogno, dall’altro è molto più facile cadere in truffe da parte di finte aziende o professionisti che, non essendo controllati, possono approfittarne per mettere in atto veri e propri raggiri.
Le offerte pubblicizzate sono per le prestazioni più varie: parrucchieri, estetiste, consulenti di vario genere, dentisti, ecc. Spesso gli annunci vengono inseriti in appositi portali e “venduti” tramite dei coupon con sconti per invogliare all’acquisto; altre volte arrivano direttamente alla vostra mail da soggetti con un nome e cognome o da vere e proprie aziende.
I passi più semplici da fare sono quelli di verificare le informazioni di base. Per esempio quando è un’azienda a proporvi dei sevizi o un privato che lavora per essa, la prima cosa da fare è verificare la ragione sociale e la Partita IVA dell’azienda stessa.
Per accertarsi della reale esistenza dell’impresa in questione attraverso la Partita IVA, basta andare sul sito dell’Agenzia delle Entrate e seguire l’iter specificato: così facendo in pochi minuti potrete ottenere le informazioni che desiderate.
Nel caso di una consulenza da un professionista invece, ci si può accertare che sia realmente iscritto all’albo o ordine di settore. Molte volte, infatti, vi sarà capitato di sentire parlare di pazienti operati da “finti” dentisti, o di persone che si sono affidate a “falsi” commercialisti.
Questo tipo di professioni, come tante altre, sono regolamentate da appositi albi ed ordini di settore, a cui tutti i professionisti devono essere iscritti per poter esercitare. La consultazione degli ordini di categoria può avvenire molto facilmente da internet, digitando nome e cognome della persona che state cercando.
Nel caso in cui, per il tipo di professione, la persona non sia identificabile in questo modo, fare una ricerca sui principali motori di ricerca potrà essere un buon modo per sapere chi avete di fronte.
Le valutazioni degli utenti, il passaparola e i feedback di esperienza sono infatti il modo più veloce per farsi un’idea su ciò che vi interessa sapere.
Se è vero che la rete ci offre la possibilità di avere risposte in modo facile e veloce, è altrettanto vero che valutarne la veridicità e attendibilità non è così scontato. Come tutelarsi quindi?
Il servizio RISK PROFILE di Clipeo, vi offre un’indagine approfondita e dettagliata sulla situazione del vostro potenziale fornitore, fornendovi informazioni su eventuali protesti, pregiudizievoli, fallimenti e procedure delle imprese ad esso collegate, in modo da garantirvi una maggior tutela verso spiacevoli situazioni.
Spesso, soprattutto negli ultimi mesi, si è sentito parlare di assenteismo e di uso improprio di permessi retribuiti.
Per assenteismo si intende la mancanza di un lavoratore dal luogo di lavoro, per un tempo più o meno prolungato, per propria volontà o per cause non giustificate.
Sia in ambito aziendale che nella pubblica amministrazione questo fenomeno sta sempre più aumentando. I cosiddetti “furbetti del cartellino” vengono cosi chiamati per l’ abitudine di timbrare la propria presenza al lavoro, per poi uscire abbandonando il proprio posto.
Come si può ben capire questo fenomeno porta con sé spiacevoli epiloghi per l’azienda stessa, che si vede “privata” della forza lavoro di cui paga comunque la retribuzione. Le conseguenze economiche, di immagine e di efficienza del lavoro che si ripercuotono sull’azienda sono quindi molto pesanti.
Molto simile a questo problema sono gli abusi, da parte del lavoratore, dei permessi retribuiti. In particolare i permessi ex legge 104, disciplinati dalla legge 104/92, consistono nella possibilità per il lavoratore che ha un familiare affetto da disabilità di fruire di appositi permessi retribuiti destinati ad assistenza e cura del disabile. I titolari dei diritti derivanti dalla legge 104 (che può essere estesa anche ai conviventi) possono usufruire anche di varie agevolazioni, come l’acquisto agevolato di autovetture, e di detrazioni per l’abbattimento di barriere architettoniche.
Non sono rari però i casi di lavoratori che si avvalgono di questi permessi retribuiti e a carico dell’Inps, per motivi diversi dalla finalità principale stabilita dalla legge. I dipendenti diventano cosi veri e propri assenteisti seriali.
L’abuso dei permessi retribuiti per l’assistenza di un familiare disabile si concretizza quando durante le ore di assenza da lavoro si svolgono mansioni diverse a quelle necessarie per l’assistenza del disabile.
Questo non vuol dire che il lavoratore non si possa spostare da casa o che i permessi ex legge 104 siano fruibili solo per scopi strettamente legati alle cure mediche, ma che nel caso in cui le ore di permesso retribuito siano utilizzate per motivi totalmente estranei all’assistenza del disabile (per esempio con una seconda attività lavorativa saltuaria), si tratterebbe di una vera e propria frode, punita con le relative sanzioni.
Il datore di lavoro che venisse a conoscenza di una situazione riconducibile a quanto detto può applicare le sanzioni previste per l’uso improprio di questo tipo di permessi che, venendo meno il vincolo fiduciario tra datore di lavoro e dipendente, comportano il licenziamento per giusta causa e senza preavviso.
Risulta chiaro che la frode lesiva avviene anche nei confronti dell’Inps e dell’intera collettività, in quanto questi permessi sono rimborsati a livello statale.
Ma come fare per tutelarsi da lavoratori poco corretti? Come verificare se siamo di fronte a casi di assenteismo o utilizzo improprio di permessi specifici?
Clipeo, grazie ai servizi JOB e JOBANK, ti aiuta a verificare la reale situazione lavorativa, gli eventuali emolumenti percepiti e/o partecipazioni imprenditoriali del tuo collaboratore, garantendo una maggior tutela dei tuoi interessi.
Lo sapevate che l’Italia è il paese europeo con il maggior numero di tradimenti? Che sia su un sito dedicato o in ufficio, gli italiani vincono il primato europeo nel tradimento.
Un italiano su cinque infatti possiede un conto corrente nascosto per l’amante. Questo è quanto emerge da un sondaggio realizzato da un sito di incontri extraconiugali in Italia. Quasi due uomini su dieci hanno un conto dedicato alle spese al di fuori della vita matrimoniale.
La città che detiene il primato è Roma cui seguono Milano e Torino. Il dato che maggiormente sorprende è che al Sud la percentuale di tradimenti è nettamente inferiore, Palermo è la città più fedele. Questo ovviamente è quanto emerso dalle risposte degli intervistati iscritti al sito di incontri extraconiugali.
Nella classifica della top ten sono presenti solo città del Nord, tra queste Brescia, Treviso, Padova e Bologna. I fatti riportati contraddicono alcune indagini di opinioni secondo cui gli italiani disapprovano l’infedeltà. La morale religiosa c’entra poco con la realtà vissuta da chi non solo sogna, ma consuma il tradimento per abitudine, favorito oltretutto dagli strumenti tecnologici disponibili oggi.
Secondo queste ricerche a tradire di più, anche su scala europea, sono gli uomini (italiani al primo posto). L’infedeltà femminile sta però crescendo. Secondo una recente ricerca effettuata dall’Istituto di sondaggi francesi Ifop, un terzo delle donne in Europa tradisce il proprio partner. La differenza che si ha nel nostro paese rispetto alla tendenza europea è che in Italia c’è il più basso indice di divorzi registrato. Come a dire infedeltà e scappatelle si ma senza compromettere il matrimonio. Questo dato evidenzia anche la maggior propensione a mentire e a rimanere attaccati alle “comodità” insite nel matrimonio stesso.
La tendenza all’infedeltà femminile è aumentata di pari passo alla crescita dell’indipendenza economica. Pare infatti che cresca proporzionalmente al livello di studi e al successo professionale, più sono indipendenti e più si concedono al tradimento. Questo è probabilmente dovuto al fatto che una donna che non dipende economicamente dal partner è tendenzialmente più sicura di se, delle sue possibilità e non ha paura delle conseguenze economiche in caso di rottura.
Le donne sono molto più imprudenti. Solo il 43% infatti tiene protetto il proprio telefono. In compenso però sono molto più organizzate, tanto da possedere un vero e proprio kit di oggetti utili alla “scappatella”.
Gli uomini sono molto più attenti delle donne. Il 57% degli intervistati ha ammesso di tenere protetto il proprio cellulare e di salvare sotto falso nome il contatto dell’amante. Il 17% ha un conto corrente dedicato e il 13% ha addirittura un appartamento per i propri incontri extraconiugali.
Per scoprire queste situazioni poco piacevoli l’intuito femminile (o maschile) a volte non basta. Clipeo con il servizio MONEY è in grado di individuare eventuali rapporti bancari di una persona fisica cosi da avere un quadro più nitido della situazione monetaria del vostro compagno/a. Sapere se il tuo partner ha un doppio conto bancario non sarà più un problema grazie a Clipeo!
Negli ultimi anni, a causa dell’imponente crisi economica che ha investito il nostro paese, molte aziende si sono trovate in difficoltà tanto da essere costrette alla chiusura o a dichiarare fallimento. Questo ha fatto si che molti lavoratori e collaboratori sono diventati creditori nei confronti di questi soggetti.
Nel caso di un lavoratore dipendete, che quindi nutre una maggior tutela, i crediti che l’azienda ha verso di lui sono garantiti da privilegio rispetto agli altri, il che significa la priorità nell’essere risarciti.
Una volta che il tribunale dichiara il fallimento dell’ impresa, nomina il curatore fallimentare che avrà il compito di comunicare a tutti i creditori, ex dipendenti e non, i tempi e le modalità per la presentazione della domanda di insinuazione allo stato passivo.
La domanda deve essere presentata entro trenta giorni dall’udienza di esame dello stato passivo, oltre tale termine le domande vengono considerate tardive il che significa che verranno soddisfatte con termini molto più lunghi.
Nel caso di un ex dipendente, alla domanda vanno allegati i cedolini paga relativi alle mensilità non percepite, compreso quello del TFR. Se tali cedolini non sono stati redatti bisogna provvedere a ricostruirli facendo bene attenzione di inserite le competenze finali nel cedolino di chiusura. Se non si hanno a disposizione i cedolini sarà bene farsi assistere da un patronato o un sindacato per la loro ricostruzione.
La domanda deve essere presentata tramite PEC, all’indirizzo di posta certificata comunicato dal curatore. Nel caso in cui, per mancanza di liquidità, l’azienda non riesca a pagare i suoi debiti, i lavoratori dipendenti possono rivolgersi al fondo di garanzia dell’INPS per recuperare quanto dovuto.
L’INPS, da parte sua, si impegna a garantire il risarcimento delle ultime tre buste paga e del TFR che potranno essere ottenuti presentando apposita domanda (compilando il modulo preposto) per via telematica. La domanda deve essere corredata dalla copia autentica dello stato passivo e dall’attestazione della cancelleria del Tribunale che il credito del lavoratore non è soggetto ad impugnazioni e opposizioni.
Nel caso in cui il creditore non sia un ex dipendente e volesse recuperare i propri crediti nei confronti dell’azienda fallita la procedura non cambia. Anche in questo caso si dovrà prima presentare l’istanza di ammissione al fallimento comunicandolo al curatore.
Il tribunale fissa l’udienza per la verifica dello stato passivo e decide se ammettere i creditori alla ripartizione del ricavato ottenuto dalla vendita del patrimonio residuo dell’azienda fallita. La possibilità di fare causa alla curatela fallimentare viene concessa dalla legge solo nel caso in cui il delegato al fallimento rigetta la domanda di insinuazione del creditore.
Ma come fare per sapere se l’azienda debitrice ha sufficienti mezzi per estinguere i suoi debiti? Come essere sicuro che la tua richiesta potrà essere evasa?
Clipeo, grazie al servizio DETECT PERSONA GIURIDICA, può fornirti una panoramica sulla situazione economico-patrimoniale dell’azienda debitrice garantendoti maggior tutela per il recupero del tuo credito.