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  • Cosa rischia chi convive con una persona con debiti?

    conto debitore comune coniuge

    Molto spesso, quando ci si sposa, per comodità si sceglie di avere un unico conto corrente, a volte con un unico intestatario, sul quale vanno a confluire gli stipendi di entrambi i coniugi. Anche se la soluzione migliore è sempre quella di avere la doppia intestazione capita che, per tutelare lo stipendio di uno dei due soggetto a debiti personali, si scelga di effettuare l’intestazione a uno solo dei coniugi.

    Perché avere un conto unico?

    La scelta di avere un unico conto corrente su cui far accreditare entrambi gli stipendi può essere dettata da varie ragioni. Anche se la soluzione migliore è sempre quella di avere la doppia intestazione, per facilitare le pratiche di accredito e prelievo, capita che, per tutelarsi dalla riscossione di possibili debiti, si scelga di effettuare l’intestazione a uno solo dei coniugi. In caso di conto cointestato, si presume che ciascuno dei coniugi sia titolare del 50% del totale. Se uno dei due coniugi ha debiti personali di varia entità, il creditore ha diritto di riscossione sul 50% dell’intero conto mentre solo il restante 50% viene tutelato. Questo non avviene con un unico intestatario. Se il conto, infatti,  viene intestato unicamente al coniuge non soggetto a debiti, anche lo stipendio del debitore viene tutelato, perché non ne risulta titolare.

    E’ possibile confluire lo stipendio della moglie sul conto del marito (o viceversa)?

    Non esiste nessuna norma che vieta che il proprio stipendio venga accreditato sul conto di un terzo, ma vi sono comunque degli ostacoli da superare.

    1- Il primo ostacolo si ha in relazione ai rapporti con il datore di lavoro. Questo potrebbe rifiutarsi di pagare lo stipendio con un bonifico su un conto non intestato al dipendente. La legge dice che il datore di lavoro può scegliere le modalità a lui più consone per versare la busta paga al dipendente. Tuttavia, l’acconto su un conto diverso, non comporta aumenti di costo per l’azienda, quindi il problema non sussiste in presenza di un’apposita liberatoria rilasciata dal dipendente stesso.

    2- Il secondo ostacolo riguarda i rapporti bancari. Il lavoratore deve comunicare al suo datore di lavoro tutti i dati relativi all’intestatario del conto sul quale dovrà confluire lo stipendio. In questo modo il  bonifico non verrà rifiutato.

    Questo escamotage non è comunque del tutto tutelante nei confronti dei creditori, i quali potrebbero far pignorare lo stipendio, nella misura del quinto, direttamente dal datore di lavoro.

    Cosa succede se marito e moglie si separano?

    Nel caso in cui marito e moglie decidano di separarsi, ci sono diverse conseguenze. Queste variano a seconda che si abbia scelto il regime patrimoniale della comunione legale o della separazione dei beni, e che abbiano deciso di avere un conto cointestato o conti separati.

    In comunione dei beni il conto, intestato ad uno solo dei due coniugi o cointestato, va diviso in parti uguali. Quindi, anche se il conto è intestato solo alla moglie o solo al marito, al momento della separazione la giacenza residua va sempre divisa in parti uguali.

    In separazione dei beni, i conti individuali non vanno divisi, mentre quello cointestato sì, perché appartiene ai coniugi al 50%. Il coniuge che abbia fatto accreditare il suo stipendio sul conto dell’altro, e che voglia rivendicare ciò che è suo, dovrà fornire opportuna prova dei relativi bonifici, esibendo, se opportuno, gli estratti conto della banca, la copia della liberatoria rilasciata all’azienda, o un eventuale accordo siglato con l’altro coniuge riguardo a tale accredito.

    Per un creditore, quindi, è sempre preferibile seppur la restituzione del debito sia più lunga, scegliere di pignorare lo stipendio del debitore, nella misura di un quinto, presso il datore di lavoro e/o ente erogatore in caso di pensione. Così facendo il pignoramento viene notificato al datore di lavoro invece che alla banca, garantendo al creditore di recuperare quanto dovuto.

    Come fare per verificare la situazione lavorativa del vostro debitore?

    Clipeo, grazie al servizio JOB, vi permette di rintracciare il posto di lavoro del vostro debitore. Tramite un’indagine mirata ad individuare sia l’attuale attività lavorativa di una persona fisica (alle dipendenze di terzi e/o autonoma), sia gli eventuali trattamenti pensionistici, vi garantisce una maggior tutela dei vostri interessi in caso di riscossione di un credito.

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  • Sicurezza su internet: quali accorgimenti è bene seguire per evitare di cadere vittima di truffe o raggiri online?

    sicurezza su internet

    In tema di sicurezza su internet, è risaputo che il web non sia un posto sicuro è un dato ormai assodato. Sono molte le truffe che circolano in rete e che coprono vari ambiti. Il problema principale riguarda la condivisione dei dati, non solo per i rischi legati allo spam e alla violazione della privacy, ma anche per il fatto che i nostri dati personali e informazioni private possono diventare strumenti di ricatto e di crimini di vario genere.

    Se è vero che è un posto poco sicuro, è anche vero che ad oggi bastano pochi e semplici accorgimenti per evitare di cadere vittima di truffe o raggiri online.

    Sicurezza su internet: ecco sette semplici accorgimenti per evitare truffe e raggiri online

    1) Controllate il sito su cui navigate

    Controllate la URL del sito. Se un indirizzo internet inizia con il suffisso https e ha l’icona di un lucchetto sulla barra degli indirizzi si tratta di un sito sicuro, certificato da un’autorità nazionale. Le informazioni che lascerete su questi siti non verranno captate da pirati informatici ma resteranno negli archivi del sito stesso.

    2) Non inviate i vostri documenti d’identità

    Fate molta attenzione e non fidatevi. Sono pochissimi i casi in cui è necessario inviare i documenti di identità (es. aperture conti correnti online).

    3) Non usate carte di credito

    La carta di credito è un metodo facile e veloce per pagare su internet ma si rischia di mettere allo scoperto il conto corrente. La scelta migliore per i pagamenti on line è la carta prepagata.

    4) Non diffondete i vostri dati anagrafici e il vostro numero di telefono privato

    Non divulgate mai le vostre informazioni di contatto, a meno che non sia strettamente necessario, vi porterà un gran numero di spam e di contatti non richiesti.

    5) Non rivelate troppo del vostro lavoro

    Fornire informazioni relative al proprio lavoro non è mai una buona idea. Senza saperlo si potrebbe violare la policy aziendale e il datore di lavoro potrebbe giustamente contestarvi questo comportamento. Eventuali malintenzionati poi, conoscendo la vostra occupazione potrebbero raggirarvi con finte offerte di lavoro.

    6) Non aprire gli allegati delle email

    Non aprite mai allegati di email da persone sconosciute, specie se si tratta di formati zippati o compressi. Molto spesso si tratta di virus. Dovete sempre leggere l’indirizzo email e il mittente della posta e accertarvi, attraverso i motori di ricerca, di chi si tratta.

    7) Disattivate la geolocalizzazione

    Quasi tutte le app che si installano sul telefonino hanno un sistema di geolocalizzazione: in poche parole sanno dove vi trovate e dove state andando. E’ bene disattivare questo dispositivo per evitare che chiunque possa conoscere i vostri spostamenti.

    Come tutelarsi da chi ci contatta con dubbie intenzioni?

    Se nonostante tutti questi accorgimenti, venite contattati da persone o aziende per offerte di lavoro, recupero crediti, offerte di promozioni o servizi ecc, l’unico modo per tutelarsi è cercare di informarsi su chi abbiamo di fronte. Clipeo, grazie al servizio RISK PROFILE, è in grado di fornirvi un quadro dettagliato su chi vi contatta, attraverso un’indagine mirata ad identificare gli aspetti personali e professionali della persona. Tutelatevi con Clipeo.

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  • Nuove regole in fase di divorzio: niente assegno all’ex autosufficiente.

    divorzio

    A seguito della sentenza della Corte di Cassazione in cui è stato cancellato il concetto di “tenore di vita” nella cause di divorzio, una nuova sentenza del Tribunale di Milano ha dato maggiori chiarimenti sui criteri del calcolo dell’assegno di mantenimento all’ex coniuge. Se l’ex moglie o marito guadagnano più di mille euro non si ha diritto a nessun assegno.

    Cosa si intende per indipendenza economica?

    Secondo la sentenza del 22 maggio 2017, mille euro sono una somma di denaro sufficiente a garantire le spese considerati essenziali e di conseguenza l’indipendenza economica. Questa viene definita come “la capacità per una determinata persona, adulta e sana, di provvedere al proprio sostentamento, inteso come capacità di avere risorse per le spese essenziali (vitto, alloggio, esercizio dei diritti fondamentali)”, tenendo conto del contesto sociale in cui è inserita.

    Al di sopra di mille euro si viene considerati autosufficienti e si perde il diritto ad avere l’assegno di mantenimento. Questo perché, secondo la legge, la soglia massima oltre la quale un cittadino non può più accedere al patrocinio a spese dello Stato, è oggi fissata a 11.528,41 euro annui, circa mille euro al mese.

    La sentenza 11504/2017 ha quindi ribadito che il tenore di vita matrimoniale non legittima al riconoscimento del mantenimento, che spetta invece solo quando l’ex coniuge non è economicamente indipendente.

    Le nuove regole sono già applicabili

    L’ordinanza del tribunale di Milano ha realizzato quanto stabilito precedentemente dalla Cassazione e i mezzi che rendono la persona autosufficiente sono stati concretizzati. Importante è che, per il Tribunale, le nuove regole che determinano l’assegno di mantenimento in caso di divorzio sono già applicabili alle cause attualmente in corso.

    Per questo motivo conoscere la situazione economica e lavorativa dell’ex coniuge è fondamentale per una maggior tutela dei propri diritti in fase di divorzio.

    Come fare per sapere la condizione economica dell’ex coniuge?

    Avere una visione chiara della situazione economica dell’ex coniuge non è mai semplice. Clipeo, grazie al servizio JOBANK vi fornisce un valido aiuto per identificare in modo dettagliato la condizione lavorativa ed economica del vostro ex coniuge tutelando i vostri interessi e i vostri diritti.

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  • Cyber bullismo: approvata la legge a tutela dei minori.

    Cyber bullismo

    L’approvazione definitiva alla Camera del testo “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyber bullismo“, rappresenta un passo fondamentale verso la tutela dei minori, soprattutto con l’aumento dell’utilizzo di internet e dei social media da parte dei giovani.

    Cos’è il cyber bullismo?

    Si parla di cyber bullismo ogni volta che ci si trova di fronte ad atti di bullismo per via telematica. La legge ne da una definizione precisa: “il bullismo telematico è ogni forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, manipolazione, acquisizione o trattamento illecito di dati personali, realizzata per via telematica in danno di minori. Nonché la diffusione di contenuti online (anche relativi a un familiare) al preciso scopo di isolare il minore mediante un serio abuso, un attacco dannoso o la messa in ridicolo”.

    Perché una legge mirata ai minori?

    I motivi per cui ci si è focalizzati sulla tutela dei minori sono molteplici:

    1 – In primo luogo la legge si discosta dall’orientamento iniziale che prevedeva la sanzione penale, in questo caso probabilmente poco utile. La legge, infatti, circoscrive il raggio di azione ai minori privilegiando la prevenzione e gli interventi di carattere educativo.

    2 – In secondo luogo, definendo il bullismo telematico come una forma di pressione, denigrazione, ecc, ai danni del minore, si circoscrive l’ambito di tutela al mondo minorile, logicamente più indifeso, creando una corsia preferenziale nella gestione dei vari casi e accelerando così le pratiche di contrasto verso il bullismo sul web.

    3 –  Terzo, offre strumenti di protezione mirati ed efficaci, molto più veloci rispetto alla norma penale. Si prevede che il minore sopra i 14 anni di età, vittima di cyber bullismo, possa chiedere al gestore del sito internet o del social o al titolare del trattamento dei dati, di oscurare, rimuovere e bloccare i contenuti diffusi in rete a suo danno. Nel caso in cui questo non avvenga entro 48 ore, l’interessato e i suoi genitori, possono richiedere l’intervento del Garante della Privacy, che dovrà intervenire entro le successive 48 ore.

    4 – Quarto punto, si interviene sul piano educativo, rispetto ad un tema che coinvolge, sia come vittime che come carnefici, dei minori. Si prevede che, in ogni istituto, venga designato un professore che si occupi delle iniziative contro il cyber bullismo, che dovrà interagire con le forze dell’ordine, le associazione e i centri di aggregazione giovanili. Il preside poi, avrà il compito di avvisare tempestivamente le famiglie dei minori coinvolti e di attivare misure educative mirate.

    Importante sarà anche effettuare dei piani di formazione del personale scolastico, la promozione di un ruolo attivo degli studenti, la previsione di misure di sostegno e rieducazione dei soggetti coinvolti.

    Proprio per contrastare o arginare questo problema, è bene conoscere chi si ha di fronte. Sia che si parli di bullismo che di cyber bullismo, avere informazioni sui soggetti interessati e sui loro familiari può essere di grande aiuto per combattere ed evitare questi fenomeni.

    Come fare per avere un quadro nitido di chi avete di fronte?

    Se conoscere la persona che sta agendo a danno dei vostri cari non è così immediato, Clipeo vi fornisce un aiuto per capire chi avete di fronte. Grazie al servizio SCREENING potrete avere una visione approfondita sulle persone di cui necessitate informazioni, ottenendo un quadro chiaro e dettagliato della loro situazione. Tutelate i vostri cari con Clipeo.

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  • Come si possono evitare le truffe immobiliari?

    truffe immobiliari

    Vi è mai capitato di avere fretta di vendere un immobile, di abbassare il suo prezzo per favorirne l’acquisto e di essere contattati da un’agenzia immobiliare con un’offerta più alta del prezzo da voi richiesto?

    La sopravvalutazione di un immobile è sicuramente un campanello d’allarme nei confronti del mediatore o dell’agenzia che si propone di aiutarvi nella vendita. Spesso accade anche che l’agente voglia una provvigione molto alta e che la voglia, solo da voi, al compromesso.

    Il compromesso (detto anche contratto preliminare di compravendita) è un atto con il quale le parti promettono di concludere un futuro contratto (rogito notarile) e nel quale vengono riportate ed ampliate tutte le condizioni stabilite nella proposta d’acquisto.

    Anche se il codice civile stabilisce per il mediatore il diritto al compenso non al rogito notarile ma alla conclusione dell’affare, potreste essere di fronte ad un truffa, solitamente chiamata truffa del compromesso.

    Cos’è la truffa della provvigione al compromesso?

    Vediamo con un caso pratico cosa potrebbe accadere: volete mettere in vendita un immobile e avete fretta di concludere. Per questo motivo, dato il particolare momento del mercato immobiliare del nostro paese, unito alla già normale difficoltà di vendere un immobile, decidete di abbassare il prezzo (es. € 150.000) per avere più opportunità.

    A questo punto potreste venire contattati da un’agenzia immobiliare che, per mezzo di un suo Agente, vi riferisce di aver trovato un acquirente disposto a pagare l’immobile più del prezzo da voi proposto (es. € 250.000). Non vi domanda alcun anticipo ma vi chiede di firmare un impegno a pagargli una lauta percentuale al compromesso, diciamo il 5%.

    L’Agente e l’acquirente vengono a visitare l’immobile, viene stipulato il compromesso per la cifra precedentemente condivisa dall’Agente, € 250.000, e versamento di una caparra di € 10.000. Questa passa direttamente nella mani dell’Agente stesso, con l’aggiunta da parte vostra di € 2.500, per raggiungere il 5% della provvigione da corrispondergli. A questo punto l’acquirente sparisce e decide di non concludere l’affare.

    Vi trovate quindi ad aver pagato il compenso dovuto all’Agente senza aver guadagnato nulla, ma perdendo € 2.500 di tasca vostra.

    Se non avete soldi per pagare, l’Agenzia può citarvi in giudizio e vincere la causa perché la legge riconosce il diritto alla provvigione alla conclusione dell’affare e quindi al compromesso, non al rogito.

    Come difendersi da questa truffa?

    Il codice civile consente all’Agente di lucrare anche su un affare “inesistente” ed è per questa ragione che è ancora più importante seguire qualche semplice regola preventiva.

    1. controllo della P.IVA: verificate la  P.IVA tramite il portale delle Agenzie delle Entrate per avere la certezza dell’esistenza dell’azienda;

    2. controllate le referenze su Google. Questo strumento vi permette di avere varie informazioni sull’agenzia. Oltre a darvi la possibilità di verificare i suoi dati generali, vi fornirà i commenti e le considerazioni degli utenti che sono entrati in contatto con l’azienda stessa. L’esperienza di altre persone è sempre un mezzo preziosissimo per avere un’idea di chi abbiamo di fronte;

    3. verificate l’attendibilità del mediatore con cui siete in contatto attraverso una ricerca mirata su internet (Facebook, Linkedin, ecc);

    4. controllate che l’agente immobiliare che segue la vostra trattativa sia iscritto all’albo. L’iscrizione è consultabile attraverso il sito della camera di commercio. L’agente o mediatore ha l’obbligo di iscrizione al Rea ed al Registro delle Imprese. La mancata iscrizione fa decadere il diritto alla provvigione, che quindi non gli deve essere corrisposta;

    5. al momento di redigere l’accordo far inserire una clausola per cui il pagamento viene previsto all’effettivo incasso dell’intera cifra, quindi al rogito e non al compromesso. Potete anche stabilire che il compenso sia dovuto al compromesso ma solo su quanto incassato;

    6. controllate le generalità dell’acquirente attraverso una ricerca su internet. Il passaparola e la reputazione on-line possono essere molto utili per capire chi avete di fronte.

    Come essere sicuri di chi avete di fronte?

    Per scongiurare ogni possibile raggiro da parte dell’agenzia immobiliare, vera o presunta che sia, affidatevi a Clipeo. Grazie al servizio BASIC PLUS vi sarà possibile ottenere tutte le informazioni necessarie a determinare l’affidabilità del soggetto che vi sta assistendo, tutelando al meglio i vostri interessi economici e immobiliari.

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  • Come fare se i tuoi debitori ritardano nel pagare le fatture?

    fatture

    A causa dell’ingente crisi economica che ha investito il nostro paese negli scorsi anni, e che a oggi non si è ancora risolta, c’è stato un progressivo aumento delle chiusure e dei fallimenti di aziende nei più svariati settori. La causa principale è spesso legata ai ritardi nei pagamenti delle fatture emesse, che a lungo andare portano ad ammanchi di cassa di grande portata, e quindi al fallimento delle aziende stesse.

    Il ritardo nei pagamenti è una delle problematiche più diffuse che investono il nostro paese, non solo per quanto riguarda le PMI (Piccole e Medie Imprese)  ma anche tra privati.

    A supporto delle imprese, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 290/2016, il decreto del 17 ottobre 2016 del Ministero dello Sviluppo Economico, emanato di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Tale decreto disciplina i limiti, i criteri e le modalità per la concessione e l’erogazione di finanziamenti agevolati, atti a ripristinare la liquidità delle PMI che ne beneficiano e che risultano in crisi a causa di mancati pagamenti, dovuti all’insolvenza da parte di imprese debitrici.

    Le azioni di riferimento sono:

    • estorsione;

    • truffa;

    • insolvenza fraudolenta;

    • false comunicazioni sociali.

    Se da un lato il ministero cerca di aiutare le PMI in difficoltà, dall’altro sono le aziende stesse a doversi tutelare per evitare di finire vittima di questo fenomeno.

    Come prevenire i problemi di liquidità in sei semplici mosse

    La prevenzione è fondamentale in un periodo in cui, troppo spesso, il destino di un’azienda è nelle mani di terzi. Spesso si affronta la situazione degli insoluti quando ormai è troppo tardi: attuare delle misure preventive, e saper individuare in modo tempestivo eventuali problemi legati a mancati incassi, può fare la differenza sul proseguimento del vostro business.

    Ecco quindi pochi semplici passi che sarebbe bene seguire:

    1 – prestare  attenzione ai segnali che arrivano direttamente dai clienti, come ad esempio:

    • l’aumento del numero di richieste di informazioni commerciali,

    • la riduzione o incremento improvviso di ordini,

    • l’aumento di dispute e controversie,

    • l’elevato turnover del personale,

    • pagamenti lenti o fermi,

    • assegni ritirati e impossibilità di contattare il cliente.

    2 – cercare informazioni sulla solvibilità dei clienti;

    3 – avere una severa gestione dei debitori;

    4 – stabilire il livello di perdite massimo sostenibile;

    5 – puntare su decisioni di credito strutturate;

    6 – scambiare esperienze e informazioni in ambito di pagamento.

    La prevenzione è sicuramente un valido aiuto per cercare di evitare situazione di crisi di cassa. Cosa fare però, nel caso in cui anche la prevenzione non bastasse?

    Cosa fare per salvaguardare i vostri crediti?

    Clipeo vi offre un valido aiuto per verificare la situazione economica dei debitori e come recuperare i vostri crediti. Grazie al servizio MONEY, potrete individuare eventuali rapporti bancari attivi dei vostri clienti ottenendo così un servizio propedeutico al recupero dei crediti che vi spettano.

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  • Ex moglie chiede un assegno di mantenimento esagerato?

    ex moglie

    Il dovere di assistenza morale e materiale

    Prima di entrare nel merito della determinazione e della corresponsione dell’assegno di mantenimento verso uno dei due ex coniugi, è importante capire le ragioni che hanno spinto a prevederne l’esistenza.

    Il matrimonio è caratterizzato dalla comunione di intenti e dal dovere di entrambi i coniugi di assistenza morale e materiale reciproca (articolo 143 del codice civile).

    Da qui l’obbligo di contribuire alle esigenze familiari e, in primo luogo, al sostentamento e alla crescita dei figli. Se il dovere di mantenere il coniuge e la famiglia è caratteristica imprescindibile del matrimonio, è anche vero che l’assegno di mantenimento a favore di uno dei due ex coniugi privo di un adeguato reddito trova riscontro nell’articolo 156 del codice civile.

    L’assegno di mantenimento in caso di separazione

    In caso di separazione consensuale o giudiziale, il matrimonio non viene sciolto ma rimane in sospeso fino alla sentenza di divorzio che, in alcuni casi, potrebbe anche non avvenire mai.

    Fino al momento della sentenza quindi lo status di coniuge permane. Quello che cambia sono l’obbligo di convivenza e di fedeltà reciproca. Rimane inalterato invece il dovere di assistenza materiale che si manifesta appunto con l’assegno di mantenimento nei confronti del coniuge che necessità di sostentamento per mancanza o insufficienza di reddito.

    Quali sono i criteri per la sua determinazione

    In caso di separazione consensuale saranno i due coniugi con l’aiuto di un avvocato a stabilire l’ammontare dell’assegno che sarà poi validato dal Tribunale. In caso di mancato accordo tra i coniugi sarà compito del giudice stabilire eventuali violazioni degli obblighi matrimoniali e dettare quindi le condizioni della separazione. L’assegno di mantenimento spetta alla parte che, in considerazione della separazione, non sia in grado di garantire lo stesso tenore di vita di cui si godeva prima, e che quindi risulta più svantaggiata.

    Come calcolare l’importo dovuto

    L’assegno di mantenimento viene calcolato in base a due parametri in particolare: il primo è il reddito complessivo della famiglia, il secondo la necessità di assicurare una tutela ai figli e al coniuge economicamente più svantaggiato. L’obiettivo è quello di eliminare possibili squilibri reddituali che potrebbero incidere sul tenore di vita avuto fino a quel momento, mantenendo cosi le condizioni economiche precedenti alla separazione sulla base di un principio di equità.

    L’importo viene quindi determinato sulla base di due criteri di massima: quanto spetta al coniuge economicamente più debole, in relazione a parametri reddituali di entrambe le parti e quanto spetta ai figli secondo un principio di “proporzionalità” determinato in considerazione delle esigenze degli stessi, il tenore di vita avuto in precedenza, le risorse economiche di entrambi i genitori, etc.

    Il calcolo dovrà quindi tenere conto dei redditi percepiti da ciascun coniuge, il valore locatizio delle proprietà immobiliari (calcolato mensilmente), l’assegnazione della casa coniugale che andrà attribuita ai redditi del coniuge a cui andrà a beneficio l’assegno e il numero dei figli a carico.

    Ad oggi su internet ci sono diversi link gratuiti dai quali è possibile ricavare indicativamente l’importo dell’assegno di mantenimento o che forniscono una guida di massima per la verifica dello stesso.

    “Ma cosa fare quando questi parametri non sono del tutto chiari? Di fronte alla domanda di mantenimento per moglie e figli, il marito ha diritto di conoscere punto per punto le entrate della donna. E viceversa: se l’uomo sostiene di non avere redditi per mantenere la moglie, quest’ultima può verificare le effettive consistenze patrimoniali del marito chiedendo un resoconto dettagliato”.

    In questi casi l’unico mezzo per chiarire la situazione è quello di fare un’indagine sulla persona.

    Grazie al servizio DETECT PERSONA FISICA di Clipeo, potrete avere un aiuto concreto e garantirvi trasparenza e correttezza in questa delicata situazione.

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  • Divorzio: rivoluzione per l’assegno di mantenimento, non conta più il tenore di vita matrimoniale ma l’autosufficienza.

    Ecco i quattro parametri per accertare “l’indipendenza economica” dell’ex coniuge che richiede l’assegno di mantenimento.

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  • Spese condominiali non pagate dal proprietario: cosa succede se il proprietario di un appartamento non paga le spese di condominio?

    In caso di spese condominiali non pagate dal proprietario, non sono solo gli inquilini o i proprietari degli appartamenti a dover rispondere. Forse non tutti sanno che anche per gli amministratori di condominio possono insorgere dei problemi, in caso di mancato pagamento delle spese condominiali da parte degli inquilini.

    Che succede se uno dei proprietari di un appartamento non paga le spese di condominio richieste dall’amministratore?

    In linea generale, chi è in ritardo con il versamento delle quote millesimali viene definito come “moroso”. E’ importante sapere che, in questo caso, il condominio può intervenire nei suoi confronti pignorando i beni, come ad esempio stipendio, pensione, conto corrente ecc.

    Bisogna subito chiarire che l’amministratore di condominio ha diritto di agire nei confronti degli inquilini morosi entro sei mesi dall’approvazione del consuntivo, a meno che l’assemblea non lo dispensi.

    Spese condominiali non pagate: cosa deve fare l’amministratore quando il condomino non paga?

    Accade spesso che l’amministratore di condominio sia a sua volta proprietario di un appartamento e che, a causa dei rapporti di vicinato, amicali o di parentela con gli altri condomini, i ritardi nel pagamento delle spese siano più frequenti. Per ovviare a questo problema, che comporta elevati ammanchi nelle casse del condominio, la riforma del 2012 ha dettato da un lato tempi certi nell’attività del recupero delle spese condominiali non versate, dall’altro un incentivo all’assunzione di figure professionali specifiche esterne all’edificio.

    Inquilino moroso e decreto ingiuntivo

    Quando un inquilino non paga e diventa moroso, può ricevere un’ingiunzione del tribunale, chiamato “decreto ingiuntivo“, che viene richiesto direttamente dall’amministratore di condominio. Questo decreto consiste in un ordine imposto dal giudice, nei confronti del debitore, di versare tutti gli arretrati entro 40 giorni dalla ricezione dello stesso.

    Il debitore da parte sua può anche instaurare, entro lo stesso termine, una causa ordinaria. L’opposizione viene fatta quando il condomino ritiene  di non dover pagare, di aver già pagato o che l’importo segnalato è errato. Se però il condomino non ha prima impugnato la delibera di condominio in cui sono state approvate e ripartite le spese tra condomini, allora l’opposizione viene ritenuta illegittima.

    Il decreto ingiuntivo per gli oneri di condominio è provvisoriamente esecutivo. Questo significa che, se il debitore non paga immediatamente, può essere oggetto di pignoramento.

    L’iniziativa giudiziale spetta all’amministratore di condominio che dovrà nominare un avvocato di fiducia senza chiedere preventiva autorizzazione all’assemblea. Sarà l’avvocato a mandare avanti l’iter seguendo le sue indicazioni. L’amministratore, da parte sua, non può però decidere se e quando agire o contro chi farlo. Deve utilizzare pari trattamento nei confronti di tutti i morosi.

    Cosa deve fare l’amministratore in caso di spese condominiali non pagate

    Una volta che viene approvata la ripartizione delle spese dall’assemblea di condominio, l’amministratore ha il compito di sollecitare ai morosi i il pagamento  delle spese sia ordinarie che straordinarie.

    In caso di mancato pagamento nonostante i solleciti, l’amministratore deve rivolgersi ad un avvocato per richiedere il decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo nei confronti del moroso.

    L’amministratore non ha facoltà di decisione sui tempi. La legge, infatti, gli impone di agire per la riscossione forzosa verso il debitore, entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale è compreso il credito esigibile, salvo dispensa da parte dell’assemblea.

    Se l’amministratore non agisce entro la tempistica indicata, risulta personalmente responsabile e può essere revocato dall’incarico senza preavviso oltre a dover risarcire il danno subito. La mancata riscossione dei crediti viene equiparata al comportamento di chi, pur avendo promosso la causa e il decreto ingiuntivo per la riscossione, non abbia curato la successiva fase del pignoramento.

    Cosa può o deve fare l’amministratore se il condomino si ostina a non pagare?

    Innanzitutto in caso di morosità da oltre sei mesi può sospendere al condomino inadempiente i servizi condominiali suscettibili di godimento separato, per esempio l’accesso a taluni locali o servizi (deposito biciclette, piscina, ecc).

    Se la morosità continua bisogna comunicare ai creditori che non sono stati pagati (es fornitori, manutentori, ecc ), le generalità dei morosi. In questo modo i creditori dovranno agire prima contro gli inadempienti e solo successivamente contro tutti gli altri condomini anche se in regola con i pagamenti (cosiddetto «obbligo di preventiva escussione dei morosi»).

    Come si può verificare la reale situazione di un condomino moroso?

    Clipeo vi offre una valida soluzione per verificare se un condomino ha realmente difficoltà nel pagare i suoi debiti. Grazie al servizio Detect Persona Fisica, potrete avere una visione nitida e fedele della situazione economico-patrimoniale del vostro debitore permettendovi di agire nel migliore dei modi.

    spese condominiali non pagate

  • Giusta causa, quando si può licenziare?

    giusta causa

    Le motivazioni per cui un datore di lavoro può arrivare al licenziamento di un suo dipendente sono molteplici. Una di queste è, senza ombra di dubbio, il verificarsi di furti in azienda anche se di piccola entità. Non importa infatti quanto sia il valore del bene sottratto: il furto costituisce sempre e comunque una giusta causa per il licenziamento, che può avvenire in tronco e senza preavviso.

    Quello che conta è il venire meno del rapporto di fiducia tra dipendente e datore di lavoro, e questo comporta la scorrettezza dell’ esecuzione dell’attività lavorativa. A chiarire questo aspetto è la Cassazione.

    Come si applica la sentenza?

    La Corte specifica che il licenziamento deve essere sempre l’ultima misura a cui ricorrere, quando ogni altro tipo di sanzione è stata inefficace o non risulti sufficientemente adeguata alla gravità della violazione.

    La valutazione della proporzionalità dell’atto commesso, rispetto alla pena applicata, si basa sulle ripercussioni che questa condotta può portare al rapporto di lavoro e al futuro proseguimento dello stesso. Non è quindi il valore del bene rubato che determina il licenziamento, quanto invece il comportamento in sé, che denota il poco rispetto per l’azienda, la bassa moralità, l’inosservanza delle regole e delle leggi.

    Oltretutto chi ruba una volta potrebbe farlo di nuovo e quindi viene meno il rapporto di fiducia tra le parti che, anzi, nel caso del datore di lavoro, potrebbe trasformarsi in un costante sospetto verso il dipendente.

    Quando può scattare il licenziamento per giusta causa?

    Per far scattare il licenziamento quindi bastano furti anche di scarso valore. In passato, per esempio, è stato ritenuto legittimo il licenziamento per uso improprio della carta carburante per spostamenti personali, trattandosi comunque di risorse del datore di lavoro.

    Quando parliamo di furti, non si intende solo la privazione di oggetti, materiali aziendali o denaro. Ci sono diversi comportamenti che vengono considerati come sleali e che rientrano nel “rubare” all’azienda, oltre al furto vero e proprio, vediamo quali sono:

    1-  La concorrenza sleale

    Il dipendente risulta infedele verso l’azienda quando, per propri interessi o per conto di terzi che siano in concorrenza con la stessa, divulga notizie che riguardano i metodi di produzione o notizie riguardo l’organizzazione interna dell’azienda, effettuando un vero e proprio furto di dati sensibili.

    2 – La sicurezza informatica

    Tra i comportamenti che possono portare ad un licenziamento c’è anche la violazione delle norme di sicurezza. Questo tipo di illecito si verifica,  per esempio, se un dipendente consente ad un terzo non autorizzato di utilizzare la sua postazione di lavoro e di accedere ad aree riservate con le proprie credenziali. In questo caso potrebbe verificarsi oltre alla violazione della privacy aziendale anche il furto di informazioni sensibili.

    I giudici ribadiscono comunque che la tenuità del danno subito dal datore di lavoro non è sufficiente ad escludere la lesione del rapporto di fiducia su cui si fonda il rapporto lavorativo. Per questo si parla di giusta causa di licenziamento, da non confondersi con il giustificato motivo oggettivo. Infatti, se il secondo caso viene sempre anticipato dal preavviso, vista la minor gravità dell’illecito, nel primo caso la condotta viene ritenuta fondamentale e quindi implica il licenziamento in tronco.

    Come evitare di trovarsi in queste situazioni, e avere dipendenti corretti di cui potersi fidare?

    Per evitare o ridurre la probabilità di avere dipendenti poco corretti e dediti ad atti che violano la fiducia lavorativa, è possibile effettuare un’ indagine preventiva su chi avete di fronte. Grazie al servizio SCREENING di Clipeo è possibile avere una fotografia nitida e dettagliata della persona che state per assumere o che lavora già per voi, così da farvi un’idea più accurata della persona con cui collaborate.