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  • Mantenimento dei figli: è necessaria la verifica dei redditi di entrambi i genitori

    Quantificazione dell’assegno mantenimento dei figli: la vicenda

    Questo è quanto ha precisato la Corte di Cassazione nell’accogliere l’istanza di un padre, a carico del quale la Corte d’Appello aveva imposto il versamento di un assegno di mantenimento di 400 euro nei confronti del figlio, oltre al 50% delle spese straordinarie.

    Il ricorrente lamenta però che la quantificazione sia stata effettuata senza rispettare il principio di proporzionalità che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori; la difesa precisa che non è nemmeno stata documentata la situazione economica dell’altro genitore, dunque i giudici avrebbero dovuto disporre d’ufficio i relativi accertamenti tributari sul punto.

    Come si quantifica l’’assegno di mantenimento dei figli?

    I genitori sono obbligati a contribuire al soddisfacimento dei bisogni dei figli minori in misura proporzionale alle proprie disponibilità economiche.

    Il giudice nella determinazione dell’assegno per il minore dovrà tenere conto non solo delle attuali esigenze del figlio e del tenore di vita dallo stesso goduto in costanza di convivenza, ma anche delle risorse economiche di entrambi i genitori, effettuando un corretto bilanciamento.

    A seguito della separazione, spiega la Cassazione, continua a trovare applicazione l’articolo 147 c.c., che ora rimanda all’articolo 315-bis c.c., il quale, imponendo ai genitori il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, obbliga gli stessi a far fronte a molteplici esigenze.

    Poiché lo standard di soddisfazione di tali esigenze è correlato anche al livello economico-sociale dell’intero nucleo familiare, il parametro di riferimento per quantificare l’entità dell’assegno di mantenimento sarà costituito non soltanto dalle esigenze dei figli, ma anche dai redditi e dalla capacità di lavoro di ciascun coniuge.

    Nel caso in esame, la Corte di merito si è unicamente limitata ad avallare la soluzione del Tribunale che, a sua volta, non è stata supportata da un’idonea indagine circa le risorse patrimoniali e reddituali disponibili da parte dei coniugi e la loro capacità di lavoro.

    Al contrario, il provvedimento impugnato ha trascurato la maggior capacità economica dell’altro genitore seppur accertata in concreto.

    Conoscere la situazione economica e patrimoniale dell’ex coniuge per determinare l’assegno di mantenimento dei figli

    Quando hai bisogno di tutelare i tuoi figli ed hai necessità di identificare con esattezza il tenore di vita e di conseguenza la reale situazione economica e patrimoniale dell’ex coniuge ai fini di quantificare l’assegno di mantenimento, affidati al servizio DETECT di Clipeo.

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  • Divorzio: l’ex sceglie di licenziarsi? Niente assegno divorzile!

    Il tenore di vita goduto durante il matrimonio non è più ritenuto un parametro di riferimento essendo rimasto dopo la sentenza n. 11504/2017 il solo fattore discriminante del raggiungimento o meno dell’autosufficienza economica.

    Assegno divorzile se l’ex si licenzia: la vicenda 

    Questo è quanto si desume dall’ordinanza n. 3015/2018, con cui la Corte di Cassazione ha rigettato la pretesa di una donna la quale voleva ottenere una maggiorazione dell’assegno divorzile dovutole dall’ex marito, a seguito della cessazione degli effetti civili del matrimonio.

    La signora aveva chiesto un aumento dell’assegno divorzile da 800 a 3.800 euro, e, ove non le fosse assegnata la casa coniugale, a 5.800 euro. Il giudice decise non solo di non assegnarle la casa coniugale, visto che l’unico figlio della coppia era maggiorenne e dimorava presso il padre, ma respinse anche la richiesta di aumento dell’assegno essendo la ricorrente proprietaria di un appartamento da cui percepiva un canone di locazione, di un terreno e beneficiaria di reddito da attività lavorativa svolta in una società.

    Assegno divorzile: la sentenza della Corte di Cassazione

    La Corte di Cassazione ha condiviso la decisione della Corte Territoriale, evidenziando come quest’ultima avesse confermato l’originario importo tenendo conto della breve durata della convivenza matrimoniale (circa sei anni), delle condizioni personali ed economiche della donna, abilitata all’esercizio della professione forense e proprietaria di immobili.

    Il giudice aveva constatato che fosse una libera scelta di vita della donna rinunciare ad una carriera promettente, accettare un posto lavoro part-time fino a dimettersi dal lavoro all’età di 46 anni, senza che vi fosse prova di alcuna costrizione al riguardo, né vi fossero stati tentativi di riprendere l’attività lavorativa.

    La conservazione del tenore di vita goduto durante il matrimonio, dunque, non rappresenta più un parametro di riferimento utilizzabile ai fini del giudizio.

    Ciò che giustifica l’attribuzione dell’assegno è la mancanza di indipendenza o autosufficienza economica, intesa come impossibilità di condurre con i propri mezzi un’esistenza economicamente autonoma e dignitosa.

    Quest’ultimo parametro va valutato con necessaria elasticità e considerazione dei bisogni del richiedente l’assegno come persona singola, e non come ex coniuge, inserita in un determinato contesto sociale.

    La valutazione della soglia dell’indipendenza economica è di fatto riservata al giudice di merito.

    Come fare per conoscere l’esatta condizione economica dell’ex coniuge?

    Per identificare con correttezza la situazione economica e patrimoniale dell’ex coniuge ai fini dell’assegno divorzile, richiedi con il nostro servizio DETECT una Indagine Patrimoniale ad hoc.

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  • Dichiarazione di successione: cosa dichiarare e chi deve presentarla

    Dichiarazione di successione: quando deve essere presentata?

    La dichiarazione deve essere presentata entro dodici mesi dalla data del decesso.

    In caso di omissione viene applicata una sanzione che va dal 120% al 240% dell’imposta liquidata e se non è dovuta alcuna imposta si applica la sanzione amministrativa da 250 a 1.000 euro. Il mancato pagamento, anche in parte, delle imposte ipotecarie, catastali e degli altri tributi “autoliquidati” comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa pari al 30% di ogni importo non versato.

    Dichiarazione di successione: quali beni dichiarare?

    Sono compresi tutti i beni e i diritti di cui il defunto era titolare in vita che corrispondono al suo patrimonio, dal quale sarà possibile dedurre anche i debiti Tra i beni e diritti vi rientrano:

    • beni immobili e quindi fabbricati e terreni;

    • beni mobili e titoli al portatore posseduti dal defunto o depositati presso altri a suo nome;

    • denaro, gioielli, preziosi e mobilia;

    • rendite, pensioni e crediti;

    • aziende, quote sociali, azioni o obbligazioni;

    • navi, imbarcazioni e aeromobili che non fanno parte di aziende.

    L’imposta di successione è dovuta per i beni e diritti, anche se esistenti all’estero, nel caso in cui alla data di apertura della successione la persona deceduta era residente in Italia; in caso contrario, l’imposta è comunque dovuta limitatamente ai beni e diritti esistenti in Italia.

    Dichiarazione di successione: chi è tenuto al pagamento?

    L’obbligo di presentare la dichiarazione di successione grava, di regola, sugli eredi e sui legatari, ma anche i semplici «chiamati all’eredità» (vale a dire coloro che possono divenire eredi se accettano l’eredità) sono obbligati a presentare la dichiarazione di successione.

    Tuttavia, i «chiamati», a differenza degli eredi, rispondono dell’imposta di successione nel limite del valore dei beni ereditari rispettivamente posseduti; mentre gli eredi sono obbligati solidalmente al pagamento dell’imposta nell’ammontare complessivamente dovuto da loro e dai legatari. Mentre i legatari, sono obbligati al pagamento dell’imposta relativa ai rispettivi legati.

    Individuare gli eredi del patrimonio del defunto

    Come rintracciare eventuali ulteriori eredi?

    Tramite il servizio Rintraccio Eredi è possibile individuare gli eredi legittimari del defunto, impreziosito dall’indagine su eventuali accettazioni o rinunce della stessa.

    Come fare per conoscere l’esatto patrimonio del defunto?

    Quando hai bisogno di identificare con esattezza la situazione economica e patrimoniale del defunto, Detect è la risposta. Un prodotto completo, in grado di fornire una fotografia nitida e fedele della sua situazione aggiornata.

  • Conto corrente cointestato: istruzioni per l’uso

    Come tutelare i propri diritti in un conto corrente cointestato?

    Quella del conto cointestato è una pratica ormai consolidata. All’interno delle famiglie, quasi sempre c’è un conto con più di un titolare: un padre e il figlio, il marito e la moglie, l’anziano non più autonomo e la badante-convivente. Ma, da un punto di vista giuridico, la cointestazione si considera un atto di pura formalità o è, a tutti gli effetti, una donazione del 50% dell’importo depositato e di quello che lo sarà in futuro? Sul tema, di recente, si è espressa più volte la Cassazione, fornendo i chiarimenti necessari per orientarsi in questa spinosa materia. «Spinosa» perché, a fronte di un atto che formalmente è sempre identico, le finalità che lo sorreggono possono essere le più svariate e non è facile ricostruire, a posteriori, quali fossero le effettive intenzioni dei correntisti.

    Conto corrente cointestato: si considera donazione?

    Cointestare un conto corrente a una persona è una donazione a tutti gli effetti, salvo si dimostri che lo scopo perseguito dalle parti era un altro e che, quindi, la donazione era solo fittizia. Ad esempio, se un padre nomina come contitolare del conto anche il figlio, questo atto comporta lo spostamento della proprietà del 50% dei soldi in capo a quest’ultimo.

    Tuttavia, qualora dovessero sorgere delle divergenze tra i due, il precedente titolare potrebbe sempre dimostrare che la donazione era solo una simulazione finalizzata a uno scopo diverso: quello, ad esempio, di aiutare il padre nelle operazioni allo sportello che questi, per via dell’età, non è più in grado di svolgere da solo.
    Allo stesso modo, in una coppia che si separi, ove la moglie pretenda di avere il 50% del conto cointestato, il marito potrebbe dimostrare che la suddetta cointestazione era stata puramente formale, finalizzata solo a consentire alla moglie non titolare di reddito di effettuare prelievi in autonomia per prendersi cura della casa; la prova potrebbe essere raggiunta dimostrando che il conto è alimentato solo dai redditi dell’uomo che vi accredita puntualmente lo stipendio.

    Recuperare il credito da un conto corrente cointestato

    È possibile prelevare più della metà dei soldi da un conto corrente cointestato?

    Nei rapporti con la banca, il cointestatario dei soldi ha la possibilità di prelevare qualsiasi somma, anche superiore al 50% e può inoltre chiudere il conto ritirando tutto il denaro che vi è depositato. Difatti le relazioni con l’istituto di credito sono regolate secondo il principio della cosiddetta «solidarietà attiva»; significa che ciascuno dei correntisti può esigere dalla banca qualsiasi somma, anche superiore alla metà.

    I rapporti tra le parti, restano però disciplinati in modo opposto: chi preleva più della propria quota è tenuto a restituire all’altro la sua parte fino a ricostituire la metà del deposito.

    I debiti si dividono a metà tra i due titolari del conto corrente cointestato?

    Anche per i debiti i correntisti rispondono secondo la regola della «solidarietà passiva». Qualora il conto dovesse essere “in rosso”, la banca potrebbe chiedere il pagamento delle somme dovute a ciascuno dei due correntisti, per l’intero. Ciascuno dei due potrebbe essere costretto a pagare tutto il debito, salvo poi rivalersi contro l’altro per la sua parte del debito (ossia il 50%).

    Come individuare il conto corrente cointestato di una persona da cui recuperare un credito?

    Se devi recuperare un credito e hai necessità di individuare eventuali conti cointestati di una persona affidati a MONEY. L’indagine Money è un servizio propedeutico al recupero di un credito, che permette di individuare eventuali rapporti bancari di una persona.

    È possibile verificare se la persona alla quale stiamo cointestando un conto è affidabile?

    Quando non si ha la certezza di conoscere approfonditamente il soggetto, sarebbe bene verificare l’affidabilità della persona a cui si intende cointestare un conto corrente. Ciò è possibile grazie a SCREENING, un rapporto completo e approfondito sulle persone fisiche che prende in considerazione tutti gli ambiti riguardanti il soggetto, da quello privato a quello lavorativo.

     

  • Allontanamento dalla casa coniugale: quando è consentito andare via di casa

    L’obbligo di coabitazone dopo il matrimonio

    Uno dei principali doveri che scattano dopo il matrimonio è quello di coabitazione: marito e moglie sono obbligati a vivere sotto lo stesso tetto salvo diversi accordi, e non è consentito lasciare quella che viene definita casa coniugale senza una giusta causa. Infatti, come per l’infedeltà, anche nel caso di abbandono del tetto può essere chiesta la separazione con addebito.

    Ci sono tuttavia delle eccezioni che possono essere legate a un accordo tra i coniugi (ad esempio nel caso in cui la famiglia decide di vivere qualche anno separata per consentire, a uno dei due, di fare carriera accettando un trasferimento particolarmente lontano). Lo stesso accordo potrebbe consentire la separazione di fatto della coppia quando marito e moglie abbiano ormai preso consapevole cognizione del fatto che l’unione sia svanita e si autorizzano l’un l’altro a vivere in una casa diversa.

    A questo proposito, vista la delicatezza della situazione sarà più opportuno redigere un accordo per iscritto. In ultimo, una giusta causa per poter andare via di casa è il comportamento pericoloso del coniuge che metta a repentaglio la sicurezza fisica o psicologia dell’altro.

    L’allontanamento dalla casa coniugale

    Se un coniuge si allontana dalla casa familiare senza una giusta causa o senza il consenso dell’altro, confermando la volontà di non fare più ritorno, viola l’obbligo di coabitazione. In questo caso, l’altro coniuge può ottenere la separazione e chiedere al giudice che ne addebiti la causa all’ex, e quest’ultimo non può pretendere il mantenimento anche se ha un reddito più basso.

    Non si può abbandonare la casa coniugale neanche se si ha intenzione di chiedere, di lì a breve, la separazione. Solo l’esistenza di una crisi già in atto, evidente e irreversibile, che dipenda da cause diverse e precedenti all’abbandono del tetto, giustifica l’allontanamento da casa. Tuttavia, anche in questo caso, per evitare problemi di carattere processuale, è meglio che i coniugi sottoscrivano un accordo con cui si autorizzano vicendevolmente a vivere separati.

    Quando si può abbandonare la casa e il coniuge

    L’allontanamento dalla residenza familiare è possibile solo se vi è una giusta causa. In questa ipotesi non è causa di addebito, anche se manca l’accordo con l’altro coniuge. L’abbandono della casa è consentito, ad esempio:

    • se successivo alla richiesta della domanda al giudice di separazione o di annullamento o di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio;

    • se è determinato da situazioni di fatto, avvenimenti o comportamenti di altri (dell’altro coniuge o di suoi familiari) incompatibili con il continuare della convivenza, oppure quando l’abbandono consegue a una situazione già intollerabile quando cioè c’è una crisi matrimoniale già in atto che non consente la prosecuzione della vita in comune.

    Un altro esempio di abbandono legittimo della casa è quello necessario a sfuggire al «mobbing familiare», dove la colpa della fine del matrimonio va al coniuge che adotta la condotta violenta, che costringe l’altro ad allontanarsi. Basta anche un solo episodio di percosse, infatti, a determinare l’intollerabilità della convivenza. Non c’è bisogno che la violenza si risolva nell’uso delle mani: anche la violenza psicologica, i maltrattamenti, le offese e le prevaricazioni possono essere causa di mobbing familiare e consentire al coniuge di andare via di casa senza per questo aver bisogno del consenso, né tantomeno rischiare l’addebito.

    Come fare per verificare se l’ex coniuge può pagare l’addebito?

    Quando abbiamo bisogno di identificare con correttezza la situazione economica e patrimoniale del coniuge a cui viene chiesto l’addebito, nonché verificare se è in grado di contribuire al mantenimento dei figli, Detect è la risposta. Un prodotto completo in grado di fornire una fotografia nitida e fedele della sua situazione.

     

  • Mantenimento figli maggiorenni: devo mantenere mio figlio maggiorenne?

    Mantenimento figli maggiorenni: cosa afferma la Costituzione?

    La legge ci impone di mantenere i figli senza alcun equivoco a riguardo. È addirittura la Costituzione a dirci che abbiamo l’obbligo di mantenerli, istruirli ed educarli e la legge ribadisce questi doveri. Ma questi obblighi si riferiscono soltanto ai figli minorenni, oppure vanno estesi anche a quelli maggiorenni? Se la risposta è positiva, fino a quando un genitore deve provvedere al mantenimento dei figli maggiorenni?

    In senso generale assolutamente no. Il dovere di mantenimento è basato sul rapporto genitoriale: se abbiamo fatto un figlio, dobbiamo prenderci cura di lui/lei anche se maggiorenne. La legge prevede persino che, in alcuni casi, il figlio maggiorenne possa ricevere un vero e proprio assegno di mantenimento. Il giudice, infatti, valutate le circostanze e la non autosufficienza economica del figlio, può disporre direttamente a favore del medesimo un assegno periodico.

    Fino a che età è dovuto il mantenimento ai figli?

    L’età del figlio, per quanto maggiorenne, non sembra essere un limite plausibile per non mantenerlo, se le ragioni della mancata autosufficienza economica non sono determinate da un atteggiamento di indifferenza o negligenza del figliolo; inoltre, l’incapacità oggettiva del maggiorenne di rendersi indipendente va aiutata.

    Il mantenimento è dovuto al figlio disoccupato?

    Lo stato di disoccupazione o comunque l’incapacità di produrre un reddito in grado di consentire l’autosufficienza, comportano la prosecuzione del mantenimento, ma a condizione che il maggiorenne non determini, volutamente, questa incapacità. Dunque, se ad esempio, lavorava e ha deciso di dimettersi, non può pretendere di ritornare a carico dei genitori.

    Viceversa, se la descritta precarietà è oggettivamente determinata dalle condizioni attuali del mercato del lavoro e non è dipendente dal figlio, la maggiore età non può rappresentare un limite per ricevere l’appoggio economico dai propri genitori. Ed allora, ad esempio, un lavoro precario oppure svolto durante un periodo di formazione o di apprendistato non può rappresentare un valido presupposto per negarne il mantenimento, in questi casi, ancora non gratificato economicamente, ma non per colpa sua.

    Mantenimento figli maggiorenni: come fare per verificare la condizione lavorativa del proprio figlio?

    Quando vogliamo conoscere l’esatta condizione lavorativa del figlio maggiorenne, al fine di verificare se necessita realmente del mantenimento, possiamo affidarci a Job; le indagini svolte sono infatti finalizzate ad individuare sia l’attuale attività lavorativa di una persona fisica (alle dipendenze di terzi e/o autonoma), sia gli eventuali trattamenti pensionistici, con la stima dell’emolumento percepito.

  • Condomini morosi: come gestire i debiti insoluti

    È comunemente riconosciuto, anche perché espressamente previsto nel codice civile italiano, che la divisione delle spese che il condominio è tenuto a sostenere per le parti comuni dello stesso, debba avvenire in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascun condomino; a meno che si tratti di parti destinate a forme di utilizzo diverso, caso in cui le spese saranno ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne.

    Condomini morosi: quali sono le parti comuni in un condominio?

    L’indicazione di quelle che comunemente sono chiamate “parti comuni“, sono indicate dal Codice Civile all’art. 1117. Sono soggette alla proprietà comune:

    • tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune (es. il suolo su cui sorge l’edificio, le fondamenta, i tetti, le scale, i portoni di ingresso, etc.);
    • le aree destinate a parcheggio ed i locali per i servizi in comune (es. la portineria, la lavanderia e i sottotetti destinati ad uso comune);
    • le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all’uso comune (es. ascensori, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati, etc.).

    Ma cosa accade se uno o più condomini morosi non partecipano alle spese comuni?

    Qualora si verificasse l’eventualità di condomini morosi, l’ordinamento assegna all’amministratore, a cui saranno infatti riconosciuti una serie di poteri e di obblighi, il compito di gestire il caso. A tal proposito, lo stesso:

    • (salvo che sia stato espressamente dispensato dall’assemblea) è tenuto ad agire per la riscossione di quanto dovuto dai condomini morosi, entro 6 mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso. Il comportamento omissivo dell’amministratore di condominio, lo rende responsabile agli occhi dell’assemblea che potrà, revocargli il mandato e procedere giudizialmente nei suoi confronti;
    • (per la riscossione dei contributi) anche senza bisogno di autorizzazioni da parte dell’assemblea, può ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo; se la situazione di morosità si protrae per un semestre, l’amministratore ha anche la facoltà di sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato;
    • in attuazione della legittimazione processuale attiva autonoma riconosciutagli dall’ordinamento, potrà nominare lui stesso l’avvocato che, in sede di giudizio prenderà le parti del condominio contro i condòmini morosi;
    • potrà procedere giudizialmente al fine di conseguire un titolo esecutivo utile per il pignoramento del conto corrente, parte dello stipendio, etc. del condòmino moroso;
    • sarà tenuto a comunicare agli altri condomini, ove questi lo interpellino, i dati dei condomini morosi, senza però violare la privacy dei morosi, affiggendo in bacheca i nominativi dei morosi con gli importi dovuti.

    E se uno dei condomini si trasferisse?

    Ove i verifichi un tale eventualità è opportuno evidenziare che “chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l’avente causa per i contributi maturati (di conseguenza anche quelli insoluti) fino al momento in cui è trasmessa all’amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto”. Quindi, dal momento in cui la vendita si perfeziona e sino a che non sia trasmessa all’amministratore copia dell’atto di vendita, l’ex condomino e l’acquirente sono legati da una responsabilità di tipo solidale per il pagamento dei contributi condominiali.

    Come fare per verificare la situazione economica del condomino moroso?

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  • Non si può sospendere l’assegno di mantenimento se l’ex non ti fa vedere i figli

    sospendere l’assegno di mantenimento

    La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un padre contro la sentenza di condanna al risarcimento dei danni, pronunciata dalla Corte di appello di Palermo, per la mancata contribuzione alla vita familiare per 16 anni.

    L’uomo sosteneva che la ex e le sue figlie gli avevano fatto mancare l’affetto dovuto in quanto tutte e tre “lo odiavano” e chiedeva inoltre la condanna alla restituzione di varie somme loro versate a titolo di mantenimento sul presupposto che loro non si trovavano nelle condizioni per averne diritto.

    L’uomo sosteneva tra l’altro che la Corte d’Appello, “nel confermare la sua condanna al risarcimento del danno, non avrebbe tenuto conto del fatto che egli non venne meno all’obbligo di pagamento al coniuge ed alle figlie dell’assegno – ma – si limitò a sospendere il proprio adempimento ‘nel tentativo di indurre l’allora coniuge a non impedirgli di frequentare e vedere le sue figlie'”.

    Sosteneva inoltre di aver correttamente adempiuto, sia pure in esito ad un giudizio penale, “tutti i propri obblighi nei confronti della ex moglie e delle figlie, poiché non c’era alcun danno risarcibile in favore di queste ultime”; tuttavia per violazione del diritto di visita il padre non è autorizzato a sospendere il mantenimento.

    La Corte Suprema però non è d’accordo. Ricordano infatti gli Ermellini che tra “l’obbligo del coniuge separato di consentire la visita dei figli all’ex, e l’obbligo di quest’ultimo di corrispondere l’assegno di mantenimento, non vi è alcuno scambio vicendevole, dunque è arbitraria, e non idonea a far venir meno il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la ‘sospensione’ dell’assegno divorzile, adottata come strumento di costrizione indiretta per indurre l’ex coniuge al rispetto degli impegni riguardanti la frequentazione dei figli”.

    Come fare per verificare se l’ex coniuge può pagare l’assegno di mantenimento?

    Quando abbiamo bisogno di identificare con correttezza la situazione economica e patrimoniale dell’ex coniuge, nonché verificare se è in grado di contribuire al mantenimento dei figli, Detect è la risposta. Un prodotto completo in grado di fornire una fotografia nitida e fedele della sua situazione.

  • Divorzio: nuovi parametri per la determinazione assegno di mantenimento

    La determinazione assegno di mantenimento storicamente

    Dal 1990, l’assegno era dovuto al coniuge che non era in grado di mantenere il precedente tenore di vita matrimoniale; un principio che aveva finito per creare profonde ingiustizie, come nei casi di assegni a vita dati a coniugi molto giovani o che non avevano dato nessun tipo di contributo in famiglia, a cui facevano da contraltare altri ridotti in uno stato di semipovertà.

    Le sentenze succedutesi da maggio in poi hanno ribaltato la situazione: l’assegno è dovuto nella misura in cui permette all’ex di essere “economicamente indipendente”. Si è passati quindi da un eccesso di ingiustizia (l’assegno sempre e comunque) all’altro (l’assegno solo se si è vicini alla “soglia di povertà”).

    Il nuovo Progetto di Legge per la determinazione assegno di mantenimento

    È stato così depositato un progetto di legge diretto a modificare i parametri per la determinazione assegno di mantenimento.

    L’assegno è dovuto nella misura in cui è utile a riequilibrare le disparità economiche che si creano col divorzio, tenendo conto delle condizioni economiche, del contributo dato alla famiglia, degli impegni nei confronti dei figli, delle concrete possibilità di riciclarsi sul mercato del lavoro, delle rinunce fatte per la famiglia.

    L’assegno a tempo

    Viene anche introdotta la possibilità dell’assegno a tempo ossia concesso per un periodo che possa servire al coniuge debole a riacquistare una indipendenza professionale. Tuttavia l’introduzione del divorzio con addebito, previsto nel disegno di legge, rischia di dar luogo a processi infiniti.

    Come fare per verificare l’effettivo patrimonio dell’ex coniuge?

    Quando abbiamo bisogno di identificare con correttezza la situazione economica e patrimoniale dell’ex coniuge, Detect è la risposta. Un prodotto completo in grado di fornire una fotografia nitida e fedele della sua situazione.

     

  • Mantenimento e Rendicontazione

    Tutti sappiamo che è dovere di entrambi i coniugi contribuire al mantenimento dei figli in maniera proporzionale ai propri redditi.

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