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Foto sui social: se i genitori separati litigano, sulla pubblicazione del post decide il figlio

Se i genitori litigano per le fotografie del figlio minorenne da pubblicare sui social network a decidere sarà proprio lui. Lo ha stabilito il Tribunale di Chieti con la sentenza n. 403 pubblicata lo scorso 21 luglio, che ha affidato al figlio di 17 anni la possibilità di negare il consenso a mamma e papà per la pubblicazione delle proprie fotografie online. 

La sentenza è in linea con quanto disposto dal decreto legislativo 101/2018 che ha recepito in Italia il regolamento Ue 679/2016 (Gdpr) e che fissa a 14 anni la soglia minima per iscriversi a un social network senza il consenso dei genitori. La sentenza si basa infatti proprio sull’età del ragazzo che, avendo 17 anni, è entrato in quella fascia in cui è possibile, per molti aspetti, autodeterminarsi.

La questione nasce dalla causa di divorzio dei genitori in cui entrambi lamentavano la pubblicazione delle fotografie del figlio 17enne sui rispettivi social. Tra i due litiganti, in ordine all’opportunità di mostrare le immagini del ragazzo su Facebook o Instagram, l’ultima parola spetta dunque direttamente al minore che potrà esprimere il proprio consenso o meno alla pubblicazione.

Questa è la conclusione a cui è giunto il Tribunale di Chieti nella sentenza n. 403/2020 e pubblicata lo scorso 21 luglio, con cui è stata dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario contratto da una coppia.

Tra le altre cose, nella causa di divorzio, gli ex coniugi si contestano reciprocamente l’inopportuna pubblicazione, sui rispettivi profili social, di alcune foto in cui è presente il figlio di 17 anni. I genitori ritengono che le immagini postate siano lesive per il minore e dunque entrambi chiedono al giudice di ordinarne la rimozione.

Innanzi al conflitto della coppia relativo alla pubblicazione delle fotografie del minorenne, il Tribunale decide di risolvere la questione prescrivendo ad entrambi i genitori di astenersi da dette pubblicazioni “in assenza di consenso esplicito dell’interessato”. In pratica, il giudice decide di affidare la scelta direttamente al ragazzo, proprio in relazione all’età dello stesso che consente di dare risalto alla sua volontà per quanto riguarda l’autorizzazione di “postare” le sue fotografie su internet.

Capita spesso, soprattutto nelle vicende che coinvolgono le relazioni dei genitori, che i giudici decidano di dare rilevanza alla volontà espressa dai figli e stabiliscano l’ascolto dei minori nelle vicende che li riguardino direttamente. In diverse decisioni, infatti, si dà peso all’età, ad esempio al raggiungimento dei 16 anni o anche dei 14 anni.

Il discorso della giurisprudenza di legittimità si è sovente indirizzato nei confronti dei c.d. grandi minori, ovvero quelli prossimi alla maggiore età. Pur essendo ancora minorenne, infatti, chi raggiunge tale età è solitamente in grado di compiere scelte di vita e orientare consapevolmente le proprie decisioni. Si pensi, ad esempio, alla possibilità di interrompere il percorso scolastico, svolgere attività lavorativa, o addirittura sposarsi (in presenza di determinate condizioni) e riconoscere figli.

Oggi l’età rileva anche per quanto riguarda la vita su internet dei minorenni, soprattutto quelli entrati in una fascia d’età per la quale è consentito autodeterminarsi sotto diversi aspetti. 

La decisione del Tribunale di Chieti, che coinvolge un 17enne, appare quindi in linea anche con quanto stabilito dal d.lgs. n. 101/2018, provvedimento di recepimento in Italia del regolamento Ue 679/2016 (Gdpr), che fissa a 14 anni la soglia minima per iscriversi a un social network senza il consenso dei genitori.

Nel dettaglio, il provvedimento precisa che “il minore che ha compiuto i quattordici anni può esprimere il consenso al trattamento dei propri dati personali in relazione all’offerta diretta di servizi della società dell’informazione”, mentre “con riguardo a tali servizi, il trattamento dei dati personali del minore di età inferiore a quattordici anni (…) è lecito a condizione che sia prestato da chi esercita la responsabilità genitoriale”.

Sempre a 14 anni i figli possono essere imputabili e da quell’età scatta allora anche un maggior potere di escludere i genitori dalla propria vita social.

La pronuncia del Tribunale di Chieti potrebbe anche essere utilizzata per contestare la tanto discussa possibilità dei genitori di monitorare gli spostamenti dei figli con le App di parental control. Se infatti la sorveglianza è lecita quando il figlio è piccolo, diventa più difficile quando è più grande e raggiunge i 14 anni. 

Quindi, se non ci sono esigenze specifiche che impongano un controllo del figlio, questi potrebbe legittimamente invocare la propria capacità di autodeterminazione per sfuggire alle ingerenze ingiustificate dei genitori nella propria sfera privata.

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