Sezioni unite chiamate a esprimersi sul valore da attribuire alla casa familiare in sede di divisione dell’immobile
Gli Ermellini, con l’ordinanza interlocutoria del 19 ottobre 2021 n. 28871, hanno rimesso alle Sezioni Unite il quesito, oggetto di contrasto giurisprudenziale, relativo al valore da attribuire in sede di divisione di un immobile in comproprietà di due coniugi legalmente separati, già destinato a residenza familiare e assegnato, in sede di separazione, al coniuge affidatario della prole.
Il tema da risolvere è se occorre tenere conto della diminuzione del valore commerciale del cespite derivante dal diritto di godimento del coniuge affidatario anche nel caso in cui la divisione si concretizzi con l’assegnazione a quest’ultimo della proprietà dell’intero immobile, con conguaglio in favore del comproprietario.
Il caso
In sede di separazione personale, il Tribunale capitolino attribuiva l’immobile adibito a casa familiare, alla moglie, in quanto affidataria delle figlie.
Lo scioglimento della comunione avveniva attraverso la cessione dell’intero cespite alla moglie con un conguaglio al marito pari alla metà del valore di mercato dello stesso, senza alcuna decurtazione derivante dal provvedimento di assegnazione.
La Corte di appello affermava, poi che, in sede di divisione tra coniugi dell’immobile in comproprietà adibito a residenza familiare, l’assegnazione del godimento a uno dei condividenti, non potesse condizionare il valore di mercato, qualora l’immobile venisse attribuito in proprietà esclusiva al coniuge titolare del diritto di godimento sullo stesso: tale diritto è attribuito nell’esclusivo interesse dei figli e non può quindi risolversi in un indebito arricchimento per il coniuge affidatario che dopo la divisione, potrebbe alienare il bene a terzi a prezzo pieno.
Per la cassazione della sentenza di appello la donna proponeva ricorso, affidato a un unico motivo.
Secondo la difesa della ricorrente, l’immobile assegnato in sede di separazione al coniuge affidatario dei figli sopravvive alla divisione ed è opponibile tanto ai terzi acquirenti quanto all’altro coniuge, precludendo tanto agli uni quanto all’altro, fino al termine di efficacia del provvedimento, di godere dell’immobile posto che l’assegnazione della casa familiare, è indirizzata esclusivamente alla tutela e all’interesse dei figli.
La questione posta nel ricorso consiste nello stabilire se – in sede di divisione di un immobile in comproprietà di due coniugi legalmente separati, già destinato a residenza familiare e, per tale ragione, assegnato, in sede di separazione, al coniuge affidatario della prole – occorra tenere conto della diminuzione del valore commerciale del cespite conseguente alla presenza sul medesimo del diritto di godimento del coniuge affidatario della prole pure nel caso in cui la divisione si realizzi mediante assegnazione a quest’ultimo della proprietà dell’intero immobile, con conguaglio in favore del comproprietario.
Sul tema sono emersi, in giurisprudenza due orientamenti: il primo sostenuto dalla ricorrente nel caso di specie, secondo il quale, l’assegnazione del godimento della casa familiare in sede di separazione personale o divorzio dei coniugi non può essere preso in considerazione, al momento della divisione dell’immobile in comproprietà tra i coniugi, al fine di determinare il valore di mercato del bene, qualora l’immobile venga attribuito al coniuge titolare del diritto al godimento sullo stesso; secondo altro orientamento, invece, l’assegnazione della casa familiare a uno dei coniugi, cui l’immobile non appartenga in via esclusiva, instaura un vincolo (opponibile anche ai terzi per nove anni, e, in caso di trascrizione, senza limite di tempo) che oggettivamente comporta una decurtazione del valore della proprietà. Di conseguenza, è dunque giuridicamente corretto, in sede di divisione, tenere conto di tale decurtazione, indipendentemente dal fatto che il bene venga attribuito in piena proprietà all’uno o all’altro coniuge (o posto in vendita, nel caso di non frazionabilità in natura del patrimonio comune).
Per dirimere tale contrasto, inaugurato con una sentenza della prima sezione della Cassazione del 2001, richiamata dalla donna nel suo ricorso, secondo la quale “L’assegnazione, in sede di divorzio come di separazione personale dei coniugi, della casa familiare al coniuge affidatario dei figli minori integra un diritto personale atipico di godimento, il quale non costituisce un peso sull’immobile destinato ad abitazione, come avviene per un diritto reale. Detta assegnazione non può, pertanto, essere presa in considerazione in sede di determinazione del valore dell’immobile, in caso di divisione, tra i coniugi, dell’immobile stesso ove comune (e il valore del cespite, quindi, deve essere accertato, ai fini del giudizio di divisione, come se non esistesse il provvedimento di assegnazione in questione), [Cass. civ., 17 settembre 2001, n. 11630. in Giust. civ., 2002, I, 55, con nota di FINOCCHIARO], gli Ermellini hanno rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
La questione
È indubbio che l’assegnazione della casa coniugale si traduca in una diminuzione del valore dell’immobile, quando è posto in vendita o attribuito al coniuge non assegnatario, ai fini dello scioglimento della comunione: è intuitivo come sia penetrante la limitazione delle facoltà di godimento che, per i terzi, comporta l’assegnazione. L’assegnatario, invece, si trova in una posizione di forza perché è il beneficiario e non il destinatario del vincolo, pertanto, divenendo proprietario del bene, può liberamente disporre dell’immobile a valore pieno, senza dover scontare la decurtazione che verrebbero a soffrire l’altro coniuge o il terzo. A completamento di quanto detto, deve, comunque, escludersi che vi sia un nesso di necessaria conseguenzialità o automaticità tra il provvedimento di assegnazione della casa coniugale (o di revoca della stessa) e l’assegno di mantenimento, tale che il primo determini un obbligo del giudice di rivalutazione o adeguamento delle statuizioni economiche nei rapporti tra i coniugi (cfr., in tal senso, Cass. civ., sez. VI – 1, 29 settembre 2016 n. 19347, in Banca Dati Pluris on Line).
Due le ipotesi che possono configurarsi in sede di scioglimento della divisione dell’immobile in comproprietà fra i coniugi.
Può accadere che la porzione di casa coniugale sia venduta al coniuge al quale vengano affidati i figli. In tal caso, l’assegnazione della casa familiare, di cui i coniugi siano comproprietari, al genitore affidatario dei figli non ha più ragion d’essere e, quindi, il diritto di abitazione, che ne scaturisce, viene meno nel momento in cui l’assegnatario, ne chiede la cessione in proprietà nel corso del giudizio per lo scioglimento della comunione, acquisendo così anche la quota dell’altro coniuge. Si arriva a tale conclusione, secondo Cass. 11630/2001, richiamata pure nell’ordinanza in commento, sia dal fatto che il diritto di abitazione è previsto dall’art. 337 – sexies cod. civ. nell’esclusivo interesse dei figli e non nell’interesse del coniuge affidatario degli stessi, sia perché, intervenuto lo scioglimento della comunione a seguito di separazione personale o di divorzio, non può più darsi rilievo, per la valutazione dell’immobile, a un diritto che, con l’assegnazione della casa familiare in proprietà esclusiva al coniuge affidatario dei figli, non ha più ragione di esistere. In tal senso, infatti, si rileva che l’assegnazione della casa familiare, nell’ambito del giudizio di separazione personale dei coniugi, rappresenta un provvedimento accessorio a tale pronuncia, finalizzato a regolare i rapporti tra le parti con riferimento all’utilizzazione dell’immobile de quo ove i coniugi avevano vissuto in regime di convivenza e che, pertanto, esaurisce i suoi effetti in tale contesto, senza alcun possibile riflesso sulla proprietà del bene stesso. (Trib. Treviso, Sez. I, 29 giugno 2010, n. 1210, in Banca Dati Pluris on Line). Nello stimare i beni per la formazione delle quote ai fini della divisione, non può non considerarsi, invero, che, in ipotesi di assegnazione in proprietà esclusiva della casa familiare, di cui i coniugi erano comproprietari, al coniuge affidatario dei figli, si riunisce nella stessa persona il diritto di abitare nella casa familiare – che perciò si estingue automaticamente – e il diritto dominicale sull’intero immobile, che rimane privo di vincoli. In sede di valutazione economica del bene “casa familiare” nel giudizio di scioglimento della comunione, il diritto di abitazione conseguente al provvedimento di assegnazione non deve, pertanto, influire in alcun modo sulla determinazione del conguaglio dovuto all’altro. (Cass. civ., Sez. II, Ord., 20 dicembre 2018, n. 33069, in Notariato, 2019).
I criteri per l’assegnazione della casa familiare, quindi, privilegiano sempre l’interesse dei figli a permanere nell’habitat domestico nel quale sono cresciuti.
Le problematicità sorgono nel momento in cui occorre stimare l’incidenza del diritto, laddove il bene debba essere venduto o attribuito al coniuge non assegnatario. E infatti, se l’assegnazione è correlata, come d’ordinario dovrebbe essere, alla convivenza con figli economicamente dipendenti, diviene necessario valutare l’incidenza che può assumere il diritto di godimento attribuito, tenuto conto che, in astratto, questo può permanere sui beni sino all’acquisizione dell’autonomia economica da parte della prole. Allora sarà necessario che in sede di divisione, il giudice formuli un quesito specifico al CTU incaricato della stima circa la durata presumibile dell’assegnazione, ipotizzando i tempi del raggiungimento di tale autonomia. Siffatta valutazione resta naturalmente confinata al giudizio di scioglimento della comunione, ma va pur operata, al fine di individuare controllabili parametri di riferimento del giudizio valutativo.
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