Un genitore può intestare tutti i suoi beni a un figlio soltanto?
In linea di principio, sì. Infatti, nessuna norma gli vieta di compiere un atto con il quale disporre delle proprie sostanze. Questa ampia disponibilità rientra nel concetto di proprietà, com’è delineato dal nostro ordinamento giuridico.
La legge non pone, infatti, al proprietario limiti per gli atti di disposizione dei propri beni che favoriscano un figlio piuttosto che un altro. Ne deriva che egli può privilegiare un figlio soltanto, donargli tutti i suoi averi, oppure fare testamento in suo favore.
Tuttavia, dopo la sua morte, gli altri figli sono liberi di decidere se accettare la volontà del genitore, oppure reclamare una quota delle proprietà dello stesso che, in base alle norme che regolano le successioni, sarebbe loro spettata. Tra poco vedremo come.
Come un genitore può intestare tutto a un figlio soltanto
Un genitore, che ha più figli, può dunque intestare tutto a uno solo di essi. Può farlo essenzialmente in due modi:
- con una donazione;
- con un testamento.
La donazione – che deve avvenire quasi sempre da un notaio, pena la nullità – è un atto con il quale un soggetto trasferisce dei diritti ad altri senza ricevere nulla in cambio.
Il testamento è, invece, un atto con il quale un soggetto dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutti i suoi averi o di parte di essi.
Il fatto che il genitore, finché è in vita, abbia ampia facoltà di disporre dei propri beni, non costringe però i figli che sono stati esclusi da questi atti di disposizione a rinunciare ai loro diritti: potrebbe esservi, infatti, una lesione di legittima.
I legittimari e la lesione della legittima
Sono detti legittimari coloro che, alla morte di una persona, hanno diritto ad una quota del suo patrimonio, anche contro la volontà del defunto. Essi non vanno confusi con gli eredi legittimi, che sono coloro che acquistano la qualità di eredi di una persona quando non vi è testamento, o quando il testamento dispone solo parzialmente del patrimonio del de cuius.
I legittimari sono la moglie, i discendenti in linea retta (prima i figli e, in mancanza, i nipoti), gli ascendenti in linea retta (prima i genitori e, in mancanza, i nonni).
Ecco come si ripartiscono tra loro le quote di legittima:
- se vi è un solo figlio, gli spetta 1/2 del patrimonio del de cuius;
- se vi sono più figli, spettano loro complessivamente i 2/3, ovviamente ripartiti in misura uguale tra loro;
- se vi sono solo gli ascendenti, spetta loro 1/3;
- se vi è solo il coniuge, gli spetta 1/2;
- se vi sono il coniuge e un figlio, spetta loro 1/3 ciascuno;
- se vi sono il coniuge e più figli, al coniuge spetta 1/4, ai figli 1/2;
- se vi sono il coniuge e gli ascendenti, senza figli, al coniuge spetta 1/2, agli ascendenti 1/4.
I figli, quindi, concorrono solo con il coniuge, se vivente al momento della morte del de cuius, ed escludono tutti gli altri parenti. La quota che rimane “libera” è detta disponibile: è quella porzione della quale il defunto avrebbe potuto liberamente disporre con donazione o con testamento.
Facciamo un esempio
Muore Tizio, lasciando la moglie e due figli. Ai figli spetterà complessivamente 1/2 del patrimonio ereditario: quindi 1/4 ciascuno. Alla moglie spetterà 1/4. Resta libera una quota di 1/4, che è la disponibile, quella che il de cuius avrebbe potuto destinare a chi voleva.
Per calcolare esattamente la quota disponibile, occorre innanzi tutto stabilire la massa ereditaria, che è costituita dal patrimonio che il defunto ha lasciato alla sua morte, più il valore di eventuali donazioni effettuate in vita (c.d. riunione fittizia). Da questo valore occorre poi sottrarre quello corrispondente alle quote spettanti ai legittimari; quello che resta è la quota disponibile. Se, facendo questa sottrazione, si rileva che il de cuius ha disposto dei suoi beni andando oltre la quota disponibile, mediante donazioni o disposizioni testamentarie in favore di persone diverse dai legittimari, si ha lesione di legittima.
Il rimedio concesso ai legittimari prende il nome di azione di riduzione, cui può seguire l’azione di petizione di eredità.
L’azione di riduzione da parte dei legittimari
Si tratta di un’azione concessa al legittimario dalla legge. Egli può rivolgersi al Tribunale, per ottenere la dichiarazione di inefficacia delle disposizioni testamentarie o delle donazioni, allo scopo di reintegrare la quota di legittima a lui spettante.
Per vincere la causa, occorre dimostrare la propria qualità di legittimario, e il fatto che le donazioni o le disposizioni testamentarie abbiano leso la quota di legittima. Se la donazione, o le donazioni, sono state effettuate ricorrendo all’espediente della donazione indiretta o della simulazione, occorrerà darne dimostrazione.
L’azione può essere esercitata anche dagli aventi causa dei legittimari (ad esempio, in caso di morte dell’avente diritto, dai figli o dai nipoti). E si prescrive in dieci anni.
L’azione di restituzione
In caso di esito positivo dell’azione di riduzione, il legittimario potrebbe aver necessità di un’ulteriore azione per entrare in possesso della quota di eredità a lui spettante. Si tratta dell’azione di restituzione.
Ciò sarà necessario, nel caso in cui i beneficiari di donazioni o di disposizioni testamentarie lesive della legittima non restituiscano spontaneamente all’erede legittimario i beni ricevuti. Spesso l’azione di restituzione viene esercitata dai legittimari congiuntamente a quella di riduzione, nello stesso processo: esse vanno tenute però ben distinte.
Diritti ereditari dei figli e indegnità
C’è un caso in cui un figlio, cui spetterebbe una quota di legittima, può essere legalmente escluso dall’eredità. Si tratta dell’indegnità: ciò avviene quando il figlio (o un altro potenziale erede) abbia commesso degli atti così gravi ai danni del de cuius, da renderlo indegno di ricevere i suoi beni.
La legge stabilisce che è indegno chi:
- ha ucciso, o tentato di uccidere, il de cuius, oppure il coniuge, o un discendente, o un ascendente dello stesso, oppure ha commesso un altro grave fatto in danno di una di queste persone, per il quale è prevista una pena analoga a quella dell’omicidio;
- ha calunniato una di tali persone, denunciandola per un reato punibile con l’ergastolo o con la reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a tre anni;
- ha indotto il de cuius, usando violenza o inganno, a fare, revocare o mutare il testamento, o glielo ha impedito;
- ha distrutto, nascosto o alterato il testamento;
- ha redatto un testamento falso, oppure ha utilizzato un testamento falsificato da altri, sapendolo non autentico.
Se un genitore lascia tutto a un figlio escludendo l’altro, e quest’ultimo si trovasse in una delle ipotesi sopra menzionate non può reclamare la sua quota di legittima: è escluso dall’eredità.
Questo spiega la ragione per la quale, pur ledendo potenzialmente gli interessi dei legittimari, una persona finché è in vita può disporre dei propri beni con la massima libertà.
Infatti, il patrimonio di una persona non è qualcosa di fisso e immutabile: finché il suo titolare non muore, esso può aumentare o diminuire.
Può essere che un genitore lasci tutto a un figlio, ledendo così i diritti di eventuali altri figli; ma può anche accadere – in linea teorica – che poco prima della sua morte il patrimonio aumenti per circostanze imprevedibili, per cui ciò che rimarrà dopo la sua morte soddisferà ampiamente i legittimari. Per questo la legge non impedisce questi atti di disposizione: dopo la morte del de cuius, si effettueranno i calcoli necessari ai legittimari per far valere le loro ragioni; a meno che, ovviamente, non ricorra un caso di indegnità.
Questo consentirà di tutelare, al momento opportuno, i propri diritti.