Fine della convivenza e separazione tra conviventi con figli: spettano mantenimento e casa familiare?
Convivenza di fatto: come si definisce?
La legge definisce conviventi di fatto «due persone maggiorenni, unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile».
Diversamente da quanto avviene per le unioni civili tra persone dello stesso sesso, nelle convivenze eterosessuali la legge non prevede l’obbligo di registrazione presso gli uffici del Comune. Diritti e doveri previsti nella nuova legge scattano in automatico per il semplice fatto di trovarsi in una condizione di convivenza di fatto stabile (intesa come dimora abituale nello stesso Comune) e si applicano anche a tutte le convivenze di fatto già esistenti (come nel caso di specie) al momento dell’entrata in vigore della legge.
Per i conviventi di fatto le dichiarazioni anagrafiche hanno solo un valore di prova in merito all’esistenza e alla durata della convivenza, la cui stabilità andrà accertata in base alle norme del Regolamento Anagrafico della popolazione residente. Norme che prevedono l’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente di ogni Comune anche delle persone conviventi (nella definizione di “famiglia anagrafica” sono ricomprese, infatti, anche le persone legate da vincoli affettivi) e il conseguente rilascio delle relative certificazioni anagrafiche (come, ad esempio, quelle relative al cambio di residenza o nella composizione della famiglia o della convivenza).
Fine della convivenza
A chi spettano gli alimenti alla fine della convivenza?
In caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall’altro gli alimenti. Questi verranno concessi solo:
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a chi versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento
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per un periodo proporzionale alla durata della convivenza, cioè limitato nel tempo (quanto tempo può stabilirlo solo il giudice perché la legge non dà indicazioni a riguardo) e nella misura determinata dal codice civile
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in base all’ordine degli obbligati andrà adempiuta dal convivente con precedenza sui fratelli e sorelle. Dunque, l’eventuale obbligo del convivente viene solo dopo i genitori e i figli.
Quali diritti sulla casa di abitazione alla fine della convivenza?
Chi ha diritto a restare nella casa familiare dopo la cessazione della convivenza.
Nel caso in cui una coppia di conviventi di cui uno solo dei partner sia proprietario dell’immobile adibito a residenza familiare, la legge prevede, nella sola ipotesi del decesso del convivente proprietario una riserva di abitazione del convivente superstite della durata di:
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due anni o di un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non superiore ai cinque anni;·
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non meno di tre anni, se nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente.
Queste scadenze si applicano automaticamente senza che gli eredi debbano ricorrere al giudice per usufruire del bene. Il diritto alla riserva di abitazione viene meno qualora il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o contragga matrimonio, un’unione civile o una nuova convivenza di fatto.
Diritti nella separazione tra conviventi con figli
A questa ipotesi poi la legge fa salvo il caso in cui il giudice, in presenza di figli comuni, abbia disposto l’assegnazione della casa familiare al convivente superstite a seguito della separazione dei genitori; in tale ipotesi, infatti, il diritto di godimento sull’immobile cesserà solo una volta che la prole, ancorché maggiorenne, abbia raggiunto l’autosufficienza economica.
Il codice civile, stabilisce che in caso di separazione tra conviventi con figli, questi ultimi di conviventi godano degli stessi diritti dei figli nati all’interno dei matrimonio.
I criteri per l’assegnazione della casa familiare, quindi, privilegiano sempre l’interesse dei figli a permanere nell’habitat domestico nel quale sono cresciuti e che, specie in caso di figli piccoli privilegiano la collocazione dei minori (specie se ancora in tenera età) presso la madre. La presenza di un minore, infatti, attribuisce alla madre il pieno diritto di chiedere, nell’ambito di una domanda di regolamentazione dell’affidamento e del mantenimento del figlio anche l’assegnazione della casa, senza che il giudice possa tenere conto della titolarità di altri immobili. Tale assegnazione può durare fino a quando il bambino non diventa maggiorenne ed economicamente autosufficiente.
In mancanza di figli, invece, in caso della cessazione della convivenza, il proprietario dell’immobile deve concedere al partner un congruo termine per andare via di casa e trovare una nuova sistemazione.
Fine della convivenza: il consiglio pratico
Il consiglio è quindi quello di cercare un accordo con l’ex compagno (eventualmente avvalendosi di un percorso di mediazione familiare o di pratica collaborativa) in modo che il giudice, come previsto dalla legge possa semplicemente «prendere atto degli accordi intervenuti tra i genitori.
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